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- 15 Ottobre 2020

Sempre più studenti scelgono di frequentare l’Università negli atenei piemontesi

Nell’ultimo decennio, la media annuale degli studenti che decidono di iscriversi all’università in Piemonte è salita da 17mila a oltre 21mila. Tranne l’Emilia-Romagna, nessun’altra regione italiana ha conseguito un risultato altrettanto positivo. Lo rivela il Rapporto 2020 dell’Ires, l’istituto regionale di ricerche economiche e sociali, sottolineando che l’aumento degli iscritti si deve alla capacità degli atenei subalpini sia di trattenere sul territorio la domanda di formazione espressa dagli studenti residenti in Piemonte sia di attrarre studenti residenti in altre regioni, ed in particolare nel Sud (soprattutto Sicilia e Puglia) oltre che residenti all’estero.

 

Nell’anno accademico 2018/19, base del nuovo Rapporto Ires, il numero degli studenti universitari negli atenei del Piemonte è ulteriormente aumentato, arrivando a toccare i 122mila iscritti, un dato decisamente superiore a quello che caratterizzava la regione dieci anni fa.
In particolare, l’Università di Torino ha contato oltre 76mila iscritti (79.000 quest’anno), il Politecnico oltre 32mila, (35.700 nel 2020), l’Università del Piemonte Orientale (Upo) poco meno di 14mila, mentre sono risultati 431 gli iscritti all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Il gruppo disciplinare con il maggior numero di studenti nel 2018/19 è quello di Ingegneria, con quasi 27mila iscritti (il 22% del totale). Seguono il gruppo economico-statistico, con quasi 15mila iscritti (il 12%), il gruppo politico-sociale con quasi 13mila e quello medico con oltre 10mila.

 

Su 100 iscritti all’università in Piemonte, le studentesse sono 53 (il dato è lievemente inferiore a quello medio nazionale, a causa della consistente presenza di iscritti nei corsi di ingegneria, gruppo disciplinare a tradizionale prevalenza maschile). Gli studenti con cittadinanza straniera iscritti agli atenei del Piemonte sono risultati oltre 10mila: a Scienze Gastronomiche sono il 29% del totale, al Politecnico il 16%, all’Upo il 7% e all’Università di Torino il 6%. Rumeni, cinesi e albanesi sono i più numerosi.

 

Nel 2018/19 gli studenti iscritti ai corsi Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica) di tipo accademico in Piemonte sono poco meno di 5.600, di cui 2.650 circa nelle tre accademie di belle arti, oltre 1.300 nei quattro conservatori musicali e 1.600 nei due istituti torinesi focalizzati sul design. Sono oltre 1.200 gli iscritti agli ITS, in continuo aumento.

 

Nel Rapporto Ires si legge che i laureati rappresentano il 30% della popolazione piemontese della classe di 30-34 anni. Nonostante il dato sia ancora lontano dall’obiettivo europeo del 40%, l’Ires evidenzia i grandi progressi compiuti, ricordando che ancora nel 2004 il dato era del 15% e che il ritardo regionale, come quello italiano, si spiega con la presenza decisamente contenuta di popolazione in possesso di titoli di terzo livello, ovvero dei corsi brevi post diploma (1-2 anni).

 

Gli atenei del Piemonte risultano molto attrattivi nei confronti di studenti provenienti da fuori regione: in particolare, al Politecnico risultano il 52% degli iscritti e all’Università di Torino il 22%. Arriva dal Sud quasi il 20% dei laureati in Piemonte, il 4% dal Centro, il 5% dall’estero.

I gruppi disciplinari che attraggono più studenti sono Ingegneria, Architettura e il gruppo Psicologico.

 

Tra le caratteristiche che influenzano la mobilità c’è il background socioculturale della famiglia di origine: ha almeno un genitore laureato il 30% di chi proviene da una regione del Nord, mentre la quota sale al 36% per chi proviene dal Sud, il 48% dal Centro e al 56% per chi proviene dall’estero. Sul totale dei laureati negli atenei piemontesi, il 65% rimane a lavorare in Piemonte dopo la laurea: tra i laureati originari del Piemonte, resta in regione quasi l’80%; tra quanti provengono dal Sud, si ferma quasi il 60% mentre circa il 12% torna a lavorare in Sud Italia e il 20% si trasferisce in un’altra regione del Nord, soprattutto in Lombardia.

 

Dopo un anno dalla laurea magistrale, lavora il 69%. I tassi di occupazione più elevati si rilevano nel gruppo disciplinare chimico-farmaceutico (89%), scientifico e ingegneria (88%). Le difficoltà maggiori emergono invece tra i laureati nei gruppi letterario, linguistico e politico sociale, soprattutto per i redditi bassi percepiti e l’elevata percentuale di contratti non standard. Tra i laureati a ciclo unico in medicina, dopo cinque anni dalla laurea il 62% è ancora impegnato con la specializzazione. I farmacisti mostrano la percentuale più elevata di contratti a tempo indeterminato. I laureati in Giurisprudenza sono meno soddisfatti dell’efficacia della laurea nel lavoro svolto: il 40% fa l’avvocato, gli altri sono occupati come esperti legali in aziende, periti, addetti alle risorse umane o alla segreteria.

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