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Privati - 4 Marzo 2022

Agriturismi italiani in crescita

Neppure la pandemia da Covid-19 ha impedito la crescita delle aziende agrituristiche in Italia che, nel 2020, sono ancora aumentate di 484 unità, confermando così la crescita che dal 2007 caratterizza questo settore. L’Istat, infatti, ha censito che all’inizio del 2021 il nostro Paese aveva oltre 25 mila agriturismi (per la precisione 25.060). Negli ultimi 13 anni il loro numero è aumentato del 41,4%, tasso corrispondente a 7.340 unità. Il tasso medio annuo di crescita tra il 2007 e il 2020 è stato mediamente del 2,5% a livello nazionale, ma del 3,5% nel Nord Ovest.

La dinamica positiva caratterizza questo settore oltre che sotto l’aspetto quantitativo anche sotto quello della diffusione. Nel 2020, i comuni con almeno un agriturismo sono 4.979, il 63% del totale dei comuni italiani (58% nel 2011). Le regioni a maggior diffusione di comuni con almeno un agriturismo sono la Toscana (97,8%), l’Umbria (96,7%), le Marche (88,2%), il Trentino-Alto Adige (83,7%) e l’Emilia-Romagna (83,5%).

Rispetto al 2011, è diminuita la percentuale di comuni con un solo agriturismo (dal 37,2% al 35,9%) e di quelli che ne contano tra 6 e 10 (da 12,3% a 10,1%); al contrario, sono aumentati quelli con 2-5 agriturismi (dal 41,7% al 44,5%) e, in modo più contenuto, quelli con 11-50 agriturismi. Infine, sono rimasti sostanzialmente stabili (intorno all’1%) i Comuni con oltre 50 agriturismi. I comuni con almeno 100 agriturismi sono nove, tutti in Toscana e Trentino-Alto Adige: Grosseto, Cortona, Castelrotto, Manciano, Appiano, San Gimignano, Montepulciano, Montalcino, Caldaro. Sono poi 45 i comuni che ospitano da 50 a 99 agriturismi e 438 quelli nei quali è presente un numero di agriturismi compreso tra 10 e 50.

Ma, se la pandemia non ha bloccato l’aumento del numero degli agriturismi, ne ha però ridimensionato fortemente il valore aggiunto, risultato di poco superiore a 802 milioni di euro nel 2020, perciò inferiore del 48,9% rispetto al 2019 e del 27% rispetto al 2007. Va tuttavia considerato – come sottolineato dall’Istat – che, in conseguenza del lockdown e delle limitazioni per il contenimento del Covid-19, molti agriturismi sono rimasti chiusi e quelli autorizzati alla ristorazione hanno potuto solo offrire servizio di asporto.

Comunque, il valore medio della produzione per azienda (valore economico del settore diviso numero agriturismi) è stato di poco superiore a 32mila euro, a fronte dei 63mila euro del 2019. Il drastico calo è stato conseguente alla forte riduzione di presenze. Nel 2020 gli arrivi nelle strutture agrituristiche sono stati 2,2 milioni (-41,3% rispetto al 2019), il numero più basso dal 2010. La composizione degli ospiti rispetto alla nazionalità vede la prevalenza degli italiani, con 1,5 milioni (poco meno di 2 milioni l’anno precedente) mentre gli stranieri sono stati poco più di 669mila (1,8 milioni nel 2019). Le presenze sono state 9,2 milioni (-34,4% rispetto al 2019), valore simile a quello del 2010. Il 61% delle presenze è dato da agrituristi italiani. La durata della permanenza media (numero di notte trascorse) è stata pari a 3,7 per gli italiani e a 5,3 per gli stranieri.

L’aumento del numero di agriturismi, pur contenuto, è un indicatore della solidità socio-economica e culturale di questo settore anche in un anno drammatico per gli effetti della pandemia. Tra il 2011 e il 2020 ne sono nati 17.424, mentre 12.452 hanno cessato l’attività. Complessivamente, nei 10 anni considerati, il tasso di attivazione è al 7,7% e quello di cessazione al 5,5%.

Tra i 1.385 agriturismi cessati nel 2020, oltre il 30% (erano il 21,5% l’anno precedente) non offriva servizi di alloggio né di ristorazione ma prevalentemente servizi di degustazione, trekking, attività sportive, quindi penalizzati dalle limitazioni imposte dalla pandemia. Questa percentuale scende all’1,9% per gli agriturismi che offrono alloggio, all’1,5% per quelli che offrono solo ristorazione e addirittura allo 0,8% per le strutture con alloggio e ristorazione.

La vita media degli agriturismi è di 13,6 anni. In relazione all’offerta, le strutture più longeve (14 anni) sono quelle che abbinano alla ristorazione almeno un’altra attività diversa dall’alloggio. D’altra parte, per le strutture con solo alloggio o con sola ristorazione la permanenza sul mercato è rispettivamente di 13 e 12 anni. La probabilità di sopravvivenza a un anno dall’inizio dell’attività agrituristica si aggira intorno al 97%, a 5 anni all’86%, a 10 anni è del 64% e, infine, a 20 anni è di poco superiore al 16%. A lungo termine (dopo venti anni) la probabilità di sopravvivenza è maggiore per gli agriturismi con alloggio (17%) e per quelli con alloggio e ristorazione (13%).

La crisi pandemica sembra aver colpito in maniera differente le diverse aree del Paese. In particolare, nel Nord, a fronte della crescita di agriturismi in Liguria (+4,6%), Provincia autonoma di Bolzano (+4,1%), Veneto (+4,3%) ed Emilia-Romagna (+4%) si è registrato un calo nella Valle d’Aosta (-3,3%).

Comunque, la maggiore densità di agriturismi si rileva in Trentino-Altro Adige, dove si contano 27 agriturismi per 100 km2, soprattutto nella Provincia di Bolzano, che raggiunge picchi di 100 agriturismi ogni 100 km2. Seguono. per densità di agriturismi. la Toscana (23 agriturismi per 100 km2) e l’Umbria (16). Altre aree si caratterizzano per una forte presenza di agriturismi sono il Piemonte meridionale, la parte orientale del Friuli-Venezia Giulia, quella occidentale del Veneto e della Liguria e l’estremità meridionale della Puglia.

La distribuzione per zona altimetrica è rimasta pressoché invariata rispetto al 2019: il 53,2% degli agriturismi si trova in comuni collinari; il 31% si situa invece in zone montuose, in particolare nella Provincia autonoma di Bolzano, che conta il 42% degli agriturismi di montagna. Il restante 15,9% degli agriturismi è ubicato in pianura; in particolare Veneto, Lombardia e Puglia detengono il 48% degli agriturismi delle zone pianeggianti.

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