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Privati - 23 Settembre 2021

L’Italia raggiunge l’autosufficienza nella bilancia alimentare

L’Italia ha raggiunto per la prima volta, nella storia recente, l’autosufficienza nella bilancia alimentare: le esportazioni di cibi e bevande nazionali hanno superato in valore le importazioni dall’estero, sotto la spinta del cambiamento nei consumi e nel commercio determinati dall’emergenza Covid. E’ quanto emerge da un recente studio della Coldiretti. Nel primo semestre di quest’anno, infatti, le esportazioni agroalimentari Made in Italy hanno raggiunto il valore record di 24,81 miliardi (+12% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), mentre il valore delle importazioni è stato di 22,95 miliardi.

 

Un cambiamento senza precedenti – ha commentato la Coldiretti – realizzato sotto la spinta della “fame” di Made in Italy all’estero, nonostante le difficoltà determinate dalle chiusure della ristorazione in tutto il mondo, ma anche dalla scelta patriottica nei consumi degli italiani, che hanno privilegiato la qualità dei prodotti nazionali anche per sostenere l’economia e il lavoro del Paese. Infatti, nelle case degli italiani nell’anno del Covid sono cresciuti del +7,6% gli acquisti di prodotti che riportano in etichetta un legame con il Belpaese, superando così gli 8,4 miliardi di euro”.

 

All’estero le vendite del Made in Italy sono sostenute soprattutto dai prodotti base della dieta mediterranea, come il vino, la frutta e verdura, fresca e trasformata, che l’Italia produce in quantità superiori al fabbisogno interno. Ma non mancano casi eclatanti di successo, tra le new entry, come il caviale Made in Italy, le cui esportazioni sono addirittura triplicate nell’ultimo anno (+187%).

 

Tuttavia – sottolinea la Coldiretti – a livello nazionale resta da colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti, dalla carne al latte, dai cereali fino alle colture proteiche necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti. In Italia, infatti, è necessario potenziare la produzione per coprire il deficit del 64% del frumento tenero e del 40% per il frumento duro destinato alla produzione di pasta, per il quale si è registrato un calo di autosufficienza in seguito alle massicce importazioni dal Canada. Per quanto riguarda il mais, fondamentale per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop, l’Italia copre circa la metà (53%) delle proprie necessità”.

 

Il trend negativo riguarda anche la soia, visto che si produce circa 1/3 (31%) del fabbisogno interno.  In Italia, inoltre, si munge nelle stalle nazionali il 75% del latte consumato nel Paese e si produce il 55% del fabbisogno di carne, con l’eccezione positiva per la carne di pollo e per le uova, per le quali il Paese ha raggiunto l’autosufficienza e non ha bisogno delle importazioni dall’estero.

 

Con la pandemia da Covid si sono ridotti gli scambi commerciali, provocando accaparramenti, speculazioni e incertezze, fattori che hanno spinto la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per la popolazione. Un fenomeno che ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale ai massimi da quasi sette anni. Fra l’altro, i timori sugli approvvigionamenti di cibo hanno convinto la stessa Unione Europea a lanciare una consultazione pubblica per realizzare un piano finalizzato a conquistare l’autosufficienza in diversi settori chiave.

 

Comunque, l’emergenza globale provocata dalla pandemia ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza.Per questo – ha dichiarato Ettore Prandini, il presidente nazionale della Coldiretti – servono sistemi di etichettatura trasparenti sull’origine delle materie prime e che non siano ingannevoli; nello stesso tempo, non possiamo pensare a un modello dove vi sia spazio per l’artificio e i cibi sintetici, dove si assista alla concentrazione eccessiva dei fattori produttivi, dove prevalga l’interesse particolare delle grandi multinazionali che spingono per l’omologazione su un modello dove il cibo sia sempre e solo una commodity”.

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