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Privati - 12 Luglio 2022

Nuovi valori nell’era Covid

I mutamenti provocati dal Covid hanno indotto gli italiani a sposare nuovi valori. Secondo i dati del Rapporto Coop 2021, 36 milioni hanno intenzione di modificare il proprio sistema valoriale nei prossimi tre-cinque anni,  in particolare, dando maggiore spazio alla cura di sé: il 47% degli italiani vuole occuparsi di più della propria salute e il 42% trovare maggiore serenità ed equilibrio personale. Emerge, inoltre, la volontà di tutelare l’ambiente, un altro valore che si sta affermando; il 40%, infatti, desidera impegnarsi maggiormente in tal senso.

In questo panorama, gli italiani rivolgono massima attenzione al tema del cibo. L’Osservatorio Cirfood district ha rilevato non solo che l’83% dei lavoratori è molto attento alle proprie scelte alimentari, ma evidenzia anche ciò che la nutrizione rappresenta per le persone.

Solo una percentuale minoritaria (12%), infatti, associa l’alimentazione a una mera necessità vitale: per molti italiani, al contrario, rappresenta felicità e soddisfazione (32%), un momento di convivialità (29%), un modo per prendersi cura di sé e per fare prevenzione (27%).

La ricerca di aspetti come la cura di sé, la convivialità, la gratificazione verso il cibo hanno portato gli italiani a cambiare i propri comportamenti alimentari, determinando l’instaurarsi di nuove abitudini a tavola.

Quella che si evidenzia maggiormente è l’intenzione di mangiare in modo sano ed equilibrato (42%), a cui si affianca una percentuale consistente di persone (26%) che cerca di ridurre il consumo di carne. “Diminuire il consumo di carne significa anche imprimere una volontà attiva nella preservazione dell’ambiente, perché rappresenta una modalità concreta per ridurre l’impatto climatico”, ha commentato Silvia Zucconi, responsabile Market Intelligence di Nomisma.

In termini di stili alimentari, quasi il 30% degli italiani predilige la dieta mediterranea. Accanto a questo gruppo emerge una serie di altri stili molto variegati, in cui si identifica il 53% delle persone. Si tratta di comportamenti alimentari difficili da classificare in modo unitario perché esprimono tante esigenze differenti. In questa percentuale rientrano, ad esempio, gli italiani che ricercano in modo continuativo cibo biologico, coloro che prediligono prodotti stagionali, chi segue un’alimentazione vegetariana o vegana, ma anche chi preferisce una nutrizione iperproteica.

Comunque, oggi gli italiani hanno ripreso a mangiare fuori casa, anche per motivi di svago: più del 65% dichiara di pranzare o cenare away from home, per ragioni diverse dal lavoro, almeno due o tre volte al mese.

Quanto ai desideri, la nuova analisi di Nomisma mette in luce tre macro tendenze. La prima è la ricerca degli ingredienti e delle materie prime, che rappresenta un fattore determinante: si richiede qualità, italianità e stagionalità. Inoltre, si presta attenzione alle caratteristiche nutrizionali degli alimenti: in particolare si guarda a cibi light e “free from” (ad esempio senza lattosio o glutine, zuccheri e sale). Il tutto sempre ricercando un buon rapporto qualità/prezzo, aspetto rilevante e irrinunciabile per un italiano su quattro.

Per comprendere quali siano i desiderata degli italiani rispetto alla pausa pranzo, emerge che
rispetto al periodo pre Covid, una quota di italiani continua a viverla tra le mura domestiche. Questa rappresenta la tendenza in maggiore crescita (+ 31% rispetto al 2019). Una quota altrettanto elevata di dipendenti, tuttavia, consuma il pranzo nel ristorante aziendale, se disponibile, o nella ristorazione convenzionata con l’azienda.

In generale, il ristorante aziendale o convenzionato viene percepito come un elemento di benessere e di comfort. Molti dipendenti, infatti, vivono questa opportunità come una comodità legata al fatto di non dover preparare e portare nulla da casa (la descrive così il 26% di chi mangia nel ristorante aziendale e il 12% di chi utilizza il ristorante convenzionato), ma anche come un momento di relax (23% e 33%) e un’occasione per vedere i colleghi (22% e 19%).

Per quanto riguarda i punti di forza di questo tipo di servizio, al primo posto c’è la cortesia del personale, seguita dalla presenza di una chiara comunicazione dei protocolli di sicurezza anti Covid e dal mantenimento delle distanze di sicurezza. È stato anche chiesto ai lavoratori quali servizi dovrebbe offrire l’azienda per soddisfare pienamente i loro bisogni in relazione alla pausa pranzo nel ristorante aziendale o convenzionato.

Tra le necessità che si evidenziano c’è la proposta di orari differenziati per l’accesso alla mensa (20% e 19%) e un minore utilizzo di plastica nel servizio (20% e 15%). Inoltre, chi ha accesso al ristorante convenzionato desidera prenotare in anticipo le portate e ritirare il pranzo già pronto.

In merito alle caratteristiche del menù ideale, invece, i desiderata riguardano soprattutto la presenza di portate realizzate con ingredienti locali (19% e 21%) e con ingredienti di qualità (17% e 22%).

L’indagine Nomisma ha dedicato un focus alla ristorazione aziendale, coinvolgendo i lavoratori che non hanno l’opportunità di usufruirne, per capire se il servizio venga percepito come un elemento di benessere e di welfare. È emerso che il 59% dei dipendenti che normalmente pranza in un ristorante convenzionato vorrebbe disporre di un ristorante aziendale. Per quanto riguarda gli smart worker, cinque su dieci desidererebbero accedere a questa opportunità.

È stato poi chiesto a chi già si avvale di un ristorante aziendale come percepisca tale possibilità: per otto lavoratori su dieci si tratta di un vantaggio irrinunciabile. Questo non solo perché rappresenta una semplificazione della vita quotidiana, ma anche perché permette di mangiare pasti sani ed equilibrati (l’83% ritiene questo aspetto importante o estremamente importante) e di fruire di materie prime di qualità (81%).
Il livello di soddisfazione, nel complesso, è elevato: il 66% dei dipendenti è soddisfatto del servizio di ristorazione aziendale e il 76% lo è del ristorante convenzionato di cui usufruisce.

È stato poi dedicato un approfondimento specifico agli smart worker per capire le loro aspettative e valutazioni rispetto alla pausa pranzo. Nove su dieci dichiarano che, prima dei cambiamenti determinati dalla pandemia, pranzavano fuori, nella maggior parte dei casi portando qualcosa da casa oppure mangiando nella mensa aziendale.

Si rilevano, inoltre, alcuni elementi di preoccupazione e scontento rispetto alla pausa pranzo svolta tra le mura domestiche. La principale criticità risulta essere la difficoltà a staccare dalle attività lavorative (citata dal 40%), a cui va ad aggiungersi il tempo da dedicare alla preparazione del pasto (34%). E uno smart worker su cinque risponde di essere aumentato di peso da quando consuma a casa la pausa pranzo.

Il 60% degli smart worker che prima della pandemia usufruivano del ristorante aziendale dichiara di sentire la mancanza di questo servizio: a mancare di più è l’elemento di socialità, menzionato dal 75% di chi vorrebbe tornare a mangiare nel ristorante dell’azienda.

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