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Privati - 17 Marzo 2022

Nutraceutica curarsi mangiando

“Nutraceutica”, crasi di nutrizione e farmaceutica, è un neologismo coevo a quello di alimentazione funzionale. I nutraceutici sono sostanze che svolgono comprovate funzioni fisiologiche o attività biologiche, derivate mediante le tecniche della sintesi farmaceutica da piante, agenti microbici e alimenti. I nutraceutici possono essere assunti attraverso i cibi funzionali da essi arricchiti oppure sotto forma d’integratori in compresse, capsule, fiale o polveri solubili. Si tratta, quindi, di una categoria a cavallo tra l’alimentazione funzionale e gli integratori.

“La dimensione mondiale del mercato dei cibi funzionali – si legge in un fresco rapporto dell’Area studi di Mediobanca – è stimata a fine 2021 in circa 500 miliardi di dollari, con aspettative di crescita a un tasso medio annuo al 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027. La categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso (slimming o weight management), pari a 214 miliardi di dollari, seguita dagli integratori, che valgono a livello globale 140 miliardi (+7,7%). I baby food arrivano a 73 miliardi (+6,5%), ma sono le specialità vegan (25 miliardi, +9%) a mostrare le attese più rosee”.

Sono diversi i trend di lungo periodo candidati a sostenere la crescita del mercato dei cibi funzionali. In primo luogo, l’allungamento della speranza di vita ha comportato l’aumento della quota di popolazione longeva, con conseguente incremento dei costi sanitari. Ciò ha reso evidente ai sistemi di sanità pubblica la necessità di favorire l’ingresso della popolazione nella fascia di età avanzata in condizioni di relativa buona salute e benessere complessivo. A tale obiettivo concorre certamente un regime alimentare in cui l’assunzione dei nutrienti necessari avvenga in maniera corretta e bilanciata, riducendo la probabilità d’insorgenza delle patologie fisiche e intellettive tipicamente legate all’avanzare dell’età (malattie cardiovascolari, osteoporosi, disturbi della vista, deterioramento delle funzioni cerebrali, ecc.).

Tuttavia, è sempre più evidente la diffusione di stili di alimentazione disordinati e squilibrati, ipercalorici e iperlipidici. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il 39% di coloro che hanno più di 18 anni è in sovrappeso, con sostanziale raddoppio dal 20% del 1975. Inoltre, circa il 13% della popolazione mondiale si trova in condizione di obesità, un valore in questo caso triplicato dal 1975. Il sovrappeso e l’obesità tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni sono aumentati a livello mondiale dal 4% del 1975 a oltre il 18%.

A fronte di circa 900 milioni di persone sottonutrite nel mondo, ve ne sarebbero 1,5 miliardi obese o sovrappeso, tanto che i decessi annui per mancanza di alimentazione (circa 36 milioni) non sono troppo distanti da quelli per suo eccesso (29 milioni).

I costi diretti e indiretti legati al disordine alimentare e ai connessi problemi metabolici sono enormi. Le pur incerte stime li indicano complessivamente in 4.800 miliardi di dollari all’anno, vicino al 3,5% del Pil mondiale, con picchi del 4,8% in America Latina (circa 500 miliardi di dollari) e del 4,3% nel Nord America (1.000 miliardi). Il vulnus economico per l’Europa è stimato in circa 900 miliardi, oltre il 3% del suo Pil.

Inoltre, al di là di un’eccessiva assunzione calorica o lipidica, vi è anche un tema di qualità del cibo. Porzioni significative della popolazione seguono un regime alimentare connotato da carenza di componenti nutrizionali essenziali al mantenimento di un adeguato stato di salute. Una dieta bilanciata richiederebbe, per esempio, un’incidenza del 50% nel consumo di frutta e verdura, mentre nella popolazione adolescente europea tale porzione è limitata al 17%. Sempre in Europa il consumo di zuccheri è del 15% superiore ai livelli raccomandati (47%); il consumo di carne li eccede del 36% (38% le carni rosse, 51% gli insaccati).

Il riassortimento della dieta ridurrebbe del 15% le morti legate al disordine alimentare; ma un’ampia porzione della popolazione non appare in grado di organizzare la propria alimentazione quotidiana per raggiungere le soglie raccomandate. E merita ricordare che una non trascurabile fascia della popolazione mondiale nutre un atteggiamento di diffidenza verso i farmaci, paventandone l’assuefazione e gli effetti collaterali. Tale tendenza è potenziata dalle crescenti evidenze di resistenza microbica ai farmaci, che si sviluppa quando microrganismi come batteri, virus, funghi e parassiti mutano in modo da rendere inefficaci i presidi farmacologici utilizzati per il loro contrasto. Si tratta di un fenomeno naturale che viene accelerato da comportamenti impropri, quali l’abuso di antibiotici, la loro dispersione accidentale nell’ambiente con reingresso nella catena alimentare o, ancora, lo smaltimento non controllato di quelli non utilizzati o scaduti.

Il fenomeno della resistenza antimicrobica può contribuire a spingere i consumatori verso la nutraceutica, in particolare quella cui sono associati effetti di potenziamento delle risposte del sistema immunitario. L’emergenza pandemica ha agito da ulteriore acceleratore: l’epidemia ha provocato in particolare un’impennata nella domanda di alimenti e integratori con funzione di supporto del sistema immunitario. Gli integratori a base di vitamina C sono stati particolarmente ricercati. Sebbene nessuna vitamina o cibo, in qualunque quantità, sia in grado di impedire il contagio da Covid-19 una volta che una persona è stata esposta al virus, è pur vero che le persone che soffrono di carenze nutrizionali hanno maggiori probabilità di soffrire delle complicazioni indotte da qualsiasi infezione o malattia e la cattiva alimentazione rientra tra i tanti fattori che potrebbero contribuire a una debole risposta immunitaria.

L’Italia ha una posizione di particolare rilievo con riferimento al mercato degli integratori la cui dimensione è pari a circa 3,8 miliardi di euro nel 2020. Si tratta del primo mercato europeo, stimato valere 14,6 miliardi, con una quota del 26%, davanti alla Germania (18,8%), alla Francia (14,7%), al Regno Unito (9,5%) e alla Spagna (7,2%). Le aspettative di crescita del mercato europeo sono nell’ordine del 6% annuo, con l’Italia che dovrebbe toccare nel 2025 una dimensione pari a 4,8 miliardi. Tra il 2008 e il 2020 il mercato italiano degli integratori è triplicato, con una crescita media annua superiore al 9%.

La forte propensione dei consumatori italiani per gli integratori è evidente considerando che la loro spesa media procapite è di circa 64 euro rispetto ai 33 della Germania, ai 32 della Francia e ai 21 del Regno Unito. Si stima che in Italia il 54% della popolazione faccia ricorso agli integratori, rispetto a quote che si collocano tra il 20% e il 25% in Germania, Francia e Regno Unito. Da tenere presente che in Italia gli integratori sono venduti essenzialmente attraverso il canale delle farmacie e parafarmacie (87% a valore).

 

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