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Privati, Imprese - 13 Settembre 2023

Diminuiscono i giovani in Italia tra i 15 e i 34 anni

Negli ultimi dieci anni, in Italia, è sceso di quasi un milione il numero dei giovani tra i 15 e i 34 anni (per la precisione il calo è stato di 966.938). “Questa contrazione nella fascia di età più produttiva della vita lavorativa – ha scritto la Cgia – sta arrecando grosse difficoltà alle aziende italiane. Molti imprenditori, infatti, faticano ad assumere personale, non solo per lo storico problema di trovare candidati disponibili e professionalmente preparati, ma anche perché la platea degli under 34 pronta a entrare nel mercato del lavoro si sta progressivamente riducendo”. Insomma, la crisi demografica sta facendo sentire i suoi effetti e nei prossimi anni la rarefazione delle maestranze più giovani è destinata ad accentuarsi ulteriormente. Tra il 2023 e il 2027, per esempio, il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione.

A legislazione vigente, pertanto, nei prossimi cinque anni, quasi il 12% degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Così, con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro, “rimpiazzare” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori.

Fra l’altro, il tasso di disoccupazione giovanile e l’abbandono scolastico sono elevati, soprattutto nel Mezzogiorno.

Insomma, i giovani italiani sono in calo, con un livello di povertà educativa allarmante e lontani dal mondo del lavoro. Un responso che emerge in maniera evidente quando ci confrontiamo con gli altri Paesi europei.

E’ un quadro desolante che rischiamo di pagare caro se – ha commentato la Cgia – come sistema Paese, non torneremo ad aumentare il numero delle nascite, a investire maggiormente nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale”.

Alla luce della denatalità in corso nel nostro Paese, appare evidente che per almeno i prossimi 15-20 anni dovremo ricorrere stabilmente anche all’impiego degli extracomunitari.

In che modo? Per legge, secondo la Cgia, dovremmo stabilire che il permesso di soggiorno, a eccezione di chi ha i requisiti per ottenere la protezione internazionale e di chi entra con già in mano un contratto di lavoro, andrebbe accordato a chi si rende disponibile a sottoscrivere un patto sociale con il nostro Paese.

Il contenuto dell’accordo? Se un cittadino straniero si impegna a frequentare uno o più corsi ed entro un paio di anni impara la nostra lingua e un mestiere, al conseguimento di questi obbiettivi lo Stato italiano lo regolarizza e gli “trova” un’occupazione.

“Sia chiaro: è un’operazione complessa e non facile da gestire – ha sottolineato la Cgia – anche perché il tema dell’immigrazione e del suo rapporto con il mondo del lavoro è molto articolato. Non solo; tutto ciò richiede una Pubblica Amministrazione in grado di funzionare bene e con performance decisamente superiori a quelle dimostrate fino a ora. Il buon esito di un’iniziativa di questo tipo, per esempio, non può prescindere da una ritrovata efficienza dei Centri per l’impiego, altrimenti la possibilità che l’iniziativa naufraghi è pressoché certa”.

Grazie al coinvolgimento anche delle Camere di commercio, secondo la Cgia, dovremo accelerare il processo di avvicinamento e di conoscenza tra la scuola e il mondo del lavoro, senza dimenticare che non potremo rinunciare a un forte incremento degli investimenti sugli Its e sulla qualità della formazione professionale; materia, quest’ultima, di competenza delle amministrazioni regionali.

Comunque, negli ultimi dieci anni, la contrazione della popolazione giovanile italiana ha interessato, in particolar modo, il Mezzogiorno. In questa ripartizione geografica la diminuzione è stata pari a 762 mila unità (-15,1%). Seguono il Centro con -160 mila (-6,6%), mentre al Nord Ovest (-1%) e al Nord Est (-0,5%) la flessione è stata molto contenuta.

A livello regionale, è stata la Sardegna a subire la flessione più importante (-19,9%). Seguono la Calabria con il -19%, il Molise con il -17,5%, la Basilicata con il -16,8% e la Sicilia con il -15,3%.

In Piemonte, i giovani tra i 15 e i 34 anni sono 817.788, il 4,5% in meno di dieci anni fa. Rispetto ad allora, infatti, sono 38.421 in meno.

In particolare, per le diverse province piemontesi, ecco quanti sono i giovani e, tra parentesi, il loro calo rispetto a dieci anni fa: Torino 424.686 (-4,5%), Cuneo 119.151 (-2,7%), Alessandria 73.487 (-5,4%), Novara 70.848 (-4,3%), Asti 39.980 (-4,4%), Vercelli 30.858 (-7,5%), Biella 30.491 (-6,7%), Verbania 28.287 (-3,8%).

A livello nazionale, infine, negli ultimi dieci anni a registrare la diminuzione più importante sono state le province Sud Sardegna (-26,9%), Oristano con il -24%, Isernia con il -22,2% e Cosenza con il -19,5%. In contro tendenza, invece, solo una dozzina di province. Le più virtuose sono state Trieste con il +7,9%, Bologna con il +7,5% e Milano con il +7,3%.

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