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Privati, Imprese - 8 Marzo 2023

Parità di genere, meta lontana

Otto marzo. Festa della Donna, almeno nei Paesi civili e democratici. Si festeggia con mimose, rose, fiori, un dono, cena al ristorante. Se tutto va bene. Ma non va così ovunque e per tutte. Tanto che forse sarebbe più opportuno che l’8 marzo venisse celebrato, come alle origini, quale Giornata internazionale dei diritti della donna, istituita nel 1909, negli Usa (in Italia nel 1922), per ricordare non soltanto le conquiste sociali, economiche e politiche delle donne, ma anche, purtroppo, le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto.

L’8 marzo, pertanto, oltre che come festa andrebbe vissuto come giorno di riflessione e di bilanci, valutando, fra l’altro, i risultati ottenuti sul fronte della parità di genere, che l’Onu vorrebbe raggiunta completamente entro il 2030 (forse un’illusione più che una speranza).

Persino in Italia la parità di genere è ancora una meta lontana, soprattutto in certi campi e a certi livelli, nonostante norme che tendono a favorirla e le quote rosa. Però, indubbiamente, passi avanti ne sono stati fatti su questa strada, lunga e tortuosa. Le prove non mancano, in diversi settori, compreso quello economico in senso lato.

Fra l’altro, si susseguono sempre più frequentemente i casi di grandi affermazioni della presenza delle donne e di loro successi nella ricerca scientifica, nell’Università, nella medicina, nell’imprenditoria, nella politica, nella letteratura, nei vertici delle istituzioni pubbliche e private, nella giurisprudenza, nella finanza, nel management, nella magistratura, per arrivare fino all’astronautica e agli arbitraggi sportivi.

È un fenomeno auspicabilmente ineludibile, sicuramente logico. Se non altro perché le donne sono più degli uomini (in Piemonte 2,265 milioni, oltre centomila più dei maschi).

Tuttavia, proprio partendo dal mondo del lavoro, l’analisi della varietà di genere, fra l’altro, mostra che in Italia le donne con un’occupazione nel 2022 sono 9,763 milioni, sì un record e 566 mila più di dieci anni fa; ma ancora 3,7 milioni in meno rispetto agli occupati maschi (comunque, nel 2013 la differenza era addirittura di 4,7 milioni).

Il tasso di occupazione rosa (percentuale tra donne occupate e popolazione femminile) è salito al 51,3% (cinque punti in più rispetto al 2013); però, il differenziale con quello maschile, pur essendosi ridotto di 6,3 punti negli ultimi vent’anni, è ancora di 17,7 punti. E se il tasso di disoccupazione maschile è dell’8,8%, quello femminile è del 9,1%.

Non solo: è assodato che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità: in Italia, la quota di donne sul totale della forza lavora scende al 35,7% nei ruoli direttivi e al 22,6% a livello di consigli di amministrazione (un’eccezione si trova nei bord delle società quotate in Borsa, dove, in seguito anche a un obbligo normativo, la presenza femminile è salita al 41,9%).

Un’altra conferma della continuità della disparità di genere emerge dai censimenti delle imprese: in Italia, a fine 2022, le imprese femminili erano poco più di 1,337 milioni, numero corrispondente al 22,21% di tutte le aziende attive nel nostro Paese.

Consola, però, che le imprese femminili sono risultate più del 50% nel settore dei servizi, il 37,2% nella sanità e assistenza sociale, il 30,9% nell’istruzione, il 29,2% nelle attività di alloggio e ristorazione, il 28,1% nell’agricoltura e il 26,5% nel comparto noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese.

In particolare, in Piemonte, al 30 dicembre dell’anno scorso, le aziende rosa erano 95.593, il 22,4% del totale delle imprese registrate alle Camere di commercio della regione. Tre mesi prima, sono risultate 90 le startup femminili innovative in Piemonte, 17 in più rispetto alla fine del 2019.

Malgrado la pandemia, la guerra in Ucraina, l’aumento dell’inflazione e altre difficoltà, infatti, l’innovazione al femminile cresce. In Italia, sono diventate duemila le start up innovative femminili, 572 in più rispetto allo stesso periodo del 2019, arrivando a rappresentare il 13,6% del totale delle start up, con una crescita del 40% nel biennio.

Proprio a cavallo dell’epidemia da Covid 19, insomma, molte donne hanno dato vita a questa particolare tipologia di impresa, costituita nella forma di società di capitali, specializzata nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico. 

L’aumento considerevole delle start up innovative va del resto di pari passo con il crescente impegno delle donne nei settori a maggior contenuto di conoscenza, come i servizi di informazione e comunicazione, le attività finanziarie e assicurative, le attività professionali, scientifiche e tecniche, l’istruzione e la sanità e assistenza sociale. 

“La crescente propensione delle donne a impegnarsi in settori imprenditoriali più innovativi, oggi in gran parte ancora appannaggio degli uomini, è un fatto certamente positivo”, ha commentato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, aggiungendo: “speriamo che sempre più giovani vogliano seguire questo esempio, scegliendo di laurearsi in discipline Stem, oggi tanto ricercate dalle imprese”.

Fonti : Istat, Unioncamere, Unioncamere Piemonte e Consob.

 

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