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- 22 Aprile 2021

Sfida tra acque minerali

C’è un altro “derby”, tra Italia e Francia, oltre a quello del vino. La nuova sfida è sul mercato delle acque minerali, che finanziariamente vale meno del nettare di Bacco (tre miliardi di euro contro undici); ma non è meno importante per la conquista delle tavole a livello mondiale. Le acque minerali, infatti, rappresentano un’eccellenza del food&beverage italiano, del quale costituiscono un turbo per le esportazioni agro-alimentari.

 

Anche se nel 2020, dopo quasi dieci anni di crescita ininterrotta, le vendite di acque minerali italiane all’estero hanno subito una battuta d’arresto a causa del Covid-19, comunque inferiore a quelle dei principali concorrenti, a partire proprio dalla Francia. Come rilevato dal Mineral Water Monitor, l’osservatorio Nomisma delle acque minerali e termali, che ha registrato anche una contrazione del mercato interno, per effetto della pandemia. Il Coronavirus, infatti, ha mutato il modello di consumo degli italiani, portando a un crollo delle vendite nel canale Horeca (Hotellerie, restaurant, cafe e catering), alla stazionarietà delle vendite in Gdo (Grande distribuzione organizzata), nonché al raddoppio del giro d’affari dell’e-commerce.

 

Comunque, escludendo il 2020, i dati del Mineral Water Monitor evidenziano il boom dell’export delle acque minerali italiane, raddoppiato in valore (+101%), tra il 2010 e il 2019. Un incremento ancora più significativo se paragonato a quello degli altri principali prodotti alimentari Made in Italy: le esportazioni dei formaggi nello stesso periodo sono aumentate del 93%, quelle dei vini del 64% e del 49% quelle della pasta. Solo l’export del caffè ha registrato performance migliori con una crescita del 119%.

 

A livello globale, l’Italia figura secondo posto tra i Paesi esportatori di acque minerali in termini di valore, con 539 milioni di euro nel 2020. È preceduta unicamente dalla Francia, prima con 651 milioni, mentre seguono le Fiji, al terzo posto con 121 milioni (nel 2019) e, al quarto, la Georgia, con 101 milioni. Le acque minerali delle Fiji sono molto apprezzate dagli Stati Uniti, mentre quelle della Georgia hanno un buon mercato in Russia.

 

Restando sul confronto tra Italia e Francia, è interessante una differenza tra il mercato del vino e quello dell’acqua minerale. Se sul vino i francesi vantano un posizionamento quasi doppio in termini di prezzo all’export (6,2 euro al litro contro i 3,6 euro dei vini fermi italiani), nel caso dell’acqua minerale è l’Italia ad avere un prezzo medio all’export più elevato, ossia 0,36 euro al litro contro 0,26 euro della Francia.

 

Grazie alla qualità delle sue acque, alla presenza di brand dalla forte notorietà e all’ottima percezione da parte del consumatore finale, negli ultimi anni l’Italia ha performato meglio dei suoi competitors stranieri e ha accresciuto la propria quota di mercato, confermando la propria leadership in alcuni Paesi. È questo il caso degli Stati Uniti, primo mercato al mondo per importazioni di acque (461 milioni di euro), dove l’Italia detiene la quota del 41%. Gli altri maggiori importatori delle acque del Bel Paese sono la Francia, dove l’Italia è leader con la quota dell’84% del mercato, la Germania, la Svizzera e il Regno Unito.

 

L’anno scorso, causa Covid, l’export italiano delle acque minerali ha subito una battuta d’arresto, calando dell’11% rispetto al 2019. Questo è avvenuto a causa del Covid, che ha provocato una contrazione dell’export pari all’11%. Meno della Francia (-15%). E questo ha permesso all’Italia di ridurre le distanze a 111 milioni di euro rispetto ai 211 di cinque anni fa. Nel 2020, tra i principali importatori mondiali di acque minerali, gli unici ad aver registrato un incremento degli acquisti dall’estero sono gli Usa (+6,8%). Gli altri Paesi, invece, hanno subito una contrazione delle importazioni: la Germania ha registrato un calo del 4,7%, il Giappone del 6,7%, il Regno Unito addirittura del 18,6%.

 

In Italia, le vendite di acque minerali stanno soffrendo particolarmente nel settore Horeca, a causa delle chiusure (o dei limiti di orari) di bar e ristoranti, della riduzione dei flussi turistici e dell’incremento dello smart working. La Gdo risulta stazionaria, mentre il canale e-commerce ha raddoppiato il giro di affari. Le restrizioni agli spostamenti durante il lockdown e la possibilità di ricevere la spesa direttamente a casa hanno fortemente incentivato le vendite online, raddoppiate tra il 2019 e il 2020 sia in termini di quantità (+94,5%) sia in termini di volume (+92,5%). Nonostante ciò, però, il peso dell’e-commerce sull’off-trade (Gdo e retail) risulta ancora marginale, rappresentando appena il 2%.

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