Conoscere gli strumenti finanziari è un primo, semplice gesto di cura verso il proprio benessere economico. Chi possiede maggiori competenze in ambito finanziario affronta con più stabilità gli imprevisti e pianifica il proprio futuro con migliori risultati. Questo contributo nasce per colmare alcune lacune e offrire una bussola: perché scegliere lo strumento giusto può fare la differenza tra improvvisare e pianificare.
Perché è importante conoscerli
Una recente ricerca di Banca d’Italia (Banca d’Italia, Indagini sulla alfabetizzazione finanziaria e le competenze di finanza digitale in Italia: giovani, Statistiche 29 gennaio 2024) ha evidenziato che maggiori conoscenze finanziarie sono positivamente legate ad una maggiore resilienza in caso di imprevisti, in particolar modo tra i piccoli imprenditori. Anche per questo motivo è importante che ognuno di noi, conosca il funzionamento degli strumenti finanziari per poter trovare “gli attrezzi” giusti per gestire la vita economica e finanziaria della propria famiglia. Se poi aggiungiamo che, mediamente, conosciamo molto poco il funzionamento del rendimento composto (solo il 30% dei rispondenti lo conoscono) e per quale motivo il conto corrente non protegge dall’inflazione (solo il 48% dei rispondenti), diventa urgente dotarsi di queste conoscenze di base.
Anche la bussola è inutile, se non sai di averla in tasca.
“è importante che ognuno di noi, conosca il funzionamento degli strumenti finanziari per poter trovare “gli attrezzi” giusti per gestire la vita economica e finanziaria della propria famiglia.”
A cosa servono
Ogni giorno, senza rendercene conto, usiamo strumenti finanziari: il conto corrente per ricevere lo stipendio, una carta per pagare, magari un libretto per i risparmi. Gli strumenti finanziari non sono però solo un contenitore di soldi: servono a proteggere, a far crescere o rendere disponibile il nostro denaro al momento giusto. In altre parole, uno strumento finanziario è un mezzo che ci permette di trasformare il risparmio in qualcosa di utile: liquidità pronta all’uso, rendita periodica, protezione da eventi avversi, oppure crescita del patrimonio nel tempo.
Secondo il rapporto Consob, gli italiani hanno investito in strumenti finanziari in maniera autonoma per il 24%, su consigli informali (ad es. amici, parenti) il 50%, tramite un esperto professionista nel 26% dei casi.
La scelta dello strumento finanziario adeguato alle nostre esigenze è un tema talmente importante che la legge impone agli intermediari finanziari, prima di proporlo, di effettuare una verifica delle conoscenze, della situazione finanziaria, degli obiettivi di vita e della capacità di sopportare il rischio del risparmiatore (Questionario di adeguatezza Direttiva 2004/39/CE – MiFID livello 1). Tale verifica, è uno strumento di tutela per i cittadini perché consente di ricevere proposte in linea con le proprie esigenze.
Le principali categorie
Quando si parla di strumenti finanziari, non sempre è immediato capire di cosa si sta parlando. In ambito normativo, il riferimento è a una categoria specifica di prodotti individuata dal Testo Unico della Finanza (TUF), utilizzati principalmente per finalità di investimento. Ne sono pertanto esclusi gli strumenti di pagamento (contanti, carte di credito, conti correnti, libretti postali, conti di deposito…) che non rientrano nella definizione tecnica di strumento finanziario e che hanno una funzione di liquidità immediata o che servono per gestire imprevisti di piccola entità e pertanto sono prontamente disponibili.
Gli strumenti finanziari tecnicamente sono strumenti negoziati su un mercato regolamentato, quindi hanno un prezzo tiene in equilibrio domanda e offerta. Questi strumenti si dividono in grandi famiglie, eccole:
Come si evince dalla tabella, ogni tipologia ha rischi, costi, vantaggi e tempi differenti.
Gli strumenti monetari e obbligazionari emessi dallo Stato godono di una fiscalità agevolata, con una tassazione del 12,5% sui guadagni (capital gain). Al contrario, le azioni e le obbligazioni corporate sono soggette a un’imposta del 26%.
I fondi comuni, le Sicav e gli ETF presentano una caratteristica distintiva: combinano al loro interno diversi strumenti finanziari, gestiti in modo professionale. Questa struttura consente un’elevata diversificazione, rendendoli particolarmente adatti a chi non ha il tempo o le competenze per analizzare singoli titoli o emittenti. In questo modo, si riduce il rischio complessivo dell’investimento.
Come funzionano
Spesso si parte da un rendimento atteso e poi si identifica lo strumento in grado di puntare a quel rendimento. Questo processo è fuorviante perché il rendimento è una variabile che dipende dal rischio che si è disposti a sopportare, quindi prima di pensare al rendimento è necessario pensare al rischio. Non solo ma, nel mondo dell’investimento, il rischio a sua volta dipende dall’orizzonte temporale, perché con poco tempo a disposizione è ragionevole mantenere il rischio basso, altrimenti parleremmo di speculazione. Infine, il tempo dipende dall’obiettivo di vita che intendiamo perseguire.
Ogni strumento ha un suo funzionamento tecnico, ma per chi non lavora nel settore finanziario è utile capire alcune semplici cose:
Che orizzonte temporale serve:
Se ti serve denaro a breve, strumenti liquidi e sicuri.
Se il tuo orizzonte è di medio o lungo termine, puoi accettare una maggiore oscillazione per avere maggiori opportunità di rendimento.
Che livello di rischio sei disposto ad affrontare:
Ogni strumento ha un diverso grado di incertezza. Alcuni garantiscono il capitale, altri lo espongono a variazioni anche importanti.
Conoscere il proprio profilo di rischio (e rispettarlo) è fondamentale per evitare scelte impulsive o insoddisfazioni future.
Da dove viene il rendimento:
Alcuni strumenti “prestano” i tuoi soldi e ti restituiscono interessi (obbligazioni).
Altri ti fanno diventare socio di un’azienda (azioni).
Altri ancora ti proteggono da imprevisti e restituiscono una somma se si verifica un evento (assicurazioni).
Profili di rischio alto, richiedono tempo per esprimere le loro potenzialità.
Un investimento efficace nasce quando tempo disponibile, obiettivo e tolleranza al rischio sono allineati con lo strumento scelto. Solo così si trasforma un’idea in un progetto sostenibile.
Soprattutto bisogna ricordarsi che uno strumento finanziario è un mezzo, non un fine. Non si investe per avere un fondo o un titolo, ma per comprare una possibilità: di studio per i figli, di serenità in pensione, di sicurezza in caso di imprevisti.
Conclusioni
Gli strumenti finanziari non sono complicati, se usati nel modo giusto. Come gli strumenti di una cassetta degli attrezzi, ognuno ha il suo scopo e va usato nel momento giusto. Saperli combinare, con l’aiuto di un consulente, significa trasformare il risparmio in benessere, sicurezza, crescita. Perché il vero obiettivo non è “guadagnare di più”, ma vivere meglio, con meno incertezza e più metodo.
I mercati finanziari hanno una funzione fondamentale per tutti noi: trasformano il risparmio in investimento. Ma spesso si sente parlare in modo generico di mercati che “salgono”, di mercati “nervosi”, di “crisi dei mercati”. Di quali mercati si parla?
E come distinguere quelli più adatti ai nostri obiettivi e alla nostra capacità di sopportare il rischio?
Non solo, ma sapere che ci sono mercati regolamentati e altri che non lo sono ci permette di riconoscere i rischi per le nostre risorse.
Perché ci sono mercati differenti?
Il primo grande sviluppo dell’attività economica risiede nel momento in cui è avvenuto il primo scambio di beni (poi solo nei tempi moderni anche dei servizi). Lo scambio consente di specializzarsi a chi offre i suoi prodotti e consente all’acquirente di cercare i beni solo quando ne ha necessità. Si parla quindi di domanda per descrivere chi riceve, compra o cerca, e di offerta per chi produce, vende o cede. Il luogo in cui queste due figure si incontrano è il mercato. Lo scambio più antico avveniva con il baratto, circa 30.000 anni fa, poi sostituito con le monete nel VII secolo in Turchia.
I mercati si classificano principalmente in base alla tipologia di prodotto scambiato, perché ogni tipologia di prodotto richiede regole condivise. Il mercato alimentare, il mercato immobiliare o quello del lavoro sono esempi di mercati con regole ben precise e soggetti dedicati al controllo.
Cosa sono i mercati finanziari
I primi mercati finanziari risalgono al XIII secolo nei Paesi Bassi e successivamente nei principali porti del Mediterraneo come Genova e Venezia. Oggi i mercati finanziari sono luoghi digitali dove domanda e offerta si incontrano.
Il mercato monetario, obbligazionario e azionario sono i principali mercati finanziari dove vengono scambiati titoli tra soggetti autorizzati e controllati da Consob (in Italia).
“Oggi i mercati finanziari sono luoghi digitali dove domanda e offerta si incontrano.”
Le tre grandi famiglie di mercati finanziari hanno oscillazioni differenti e quindi tempi di investimento differenti.
Il mercato monetario
È il più prudente tra i mercati. Qui si scambiano strumenti a breve termine, con durata inferiore a 12 mesi. Sono strumenti che offrono alta liquidità e bassa volatilità, come:
– Conti deposito – Pronti contro termine – Buoni ordinari del Tesoro (BOT) – Certificati di deposito bancari
Il mercato obbligazionario
In questo mercato si scambiano titoli di debito, cioè prestiti fatti a stati, banche o aziende, che si impegnano a restituire il capitale riconoscendo un interesse periodico. Le principali variabili per scegliere un titolo obbligazionario sono:
– Durata del titolo (scadenza) – Affidabilità dell’emittente (rating) – La struttura del tasso (fisso o variabile) – Il rischio di cambio (se fuori dall’Euro)
Gli strumenti emessi dallo Stato italiano (come ad es. il BTP e il CCT), presentano un vantaggio fiscale in sede di tassazione degli interessi sui capital gain, pari al 12.5%, anziché al 26%, come in tutti gli altri strumenti finanziari, questo per agevolare il risparmio verso il finanziamento del debito pubblico.
Il mercato azionario
È il mercato dove si scambiano proprietà di aziende: le quote azionarie. Acquistare azioni significa diventare soci dell’impresa e quindi si partecipa ai successi ma anche ai suoi insuccessi. I prezzi oscillano in base alle aspettative degli utili che a sua volta dipendono dalle scelte del management, dal settore di riferimento, dal mercato nel suo complesso.
I mercati azionari sono tipicamente di due sotto-categorie:
– Geografici – Settoriali
Nel primo caso, sono identificati con il nome del paese dove avvengono le contrattazioni (ad es. mercato azionario italiano), nel secondo caso sono identificati con il nome del settore di appartenenza delle aziende sottostanti (ad es. mercato azionario farmaceutico).
Il mercato azionario si muove in base alle informazioni disponibili, per questo motivo ci sono regole stringenti per la diffusione delle stesse e per evitare che qualcuno si avvantaggi di dati che altri non hanno. Le attività delle autorità di controllo tutelano quindi gli investitori, per questo si parla di mercati regolamentati.
Quale mercato va bene per me?
Precisiamo subito che esistono anche mercati non regolamentati, i quali non garantiscono lo stesso livello di trasparenza, controllo e tutela offerto dai mercati regolamentati. In questi contesti, le transazioni avvengono direttamente tra le parti, senza l’intervento di un’autorità di vigilanza. Ne fanno parte, ad esempio, i mercati di strumenti derivati complessi, delle criptovalute o delle opere d’arte. In tali ambiti, il rischio di truffe, di illiquidità o di valutazioni poco trasparenti è molto elevato. Per questo motivo, è bene che vi accedano solo investitori esperti o professionisti, in grado di comprendere appieno le caratteristiche e i rischi degli strumenti trattati.
All’interno dei mercati regolamentati monetari, obbligazionari e azionari, non esiste una corrispondenza rigida, tra tipo di mercato e tipo di persona. Piuttosto è utile vedere questi mercati come gli ingredienti essenziali per effettuare una ricetta. Così come per fare una torta è necessario avere zucchero, farina e burro, così per investire è necessario miscelare i mercati secondo il personale profilo di rischio, i propri obiettivi e quindi orizzonti temporali.
In questo processo, il supporto di un esperto risulta, anche in questo caso, necessario al fine di definire gli obiettivi di vita, le priorità, la capacità di sopportare il rischio e quindi di individuare la ripartizione ottimale tra mercati. Con questo metodo di investimento, non si acquisterà un singolo titolo obbligazionario o azionario in autonomia, ma si individueranno strumenti finanziari diversificati – come Fondi Comuni o Sicav– che investono nei diversi mercati in modo professionale e controllato.
“Per investire è necessario miscelare i mercati secondo il personale profilo di rischio, i propri obiettivi e quindi orizzonti temporali.”
Conclusioni
I mercati finanziari non sono un gioco per pochi, ma strumenti fondamentali per trasformare il risparmio in possibilità concreta: realizzare progetti, proteggere il potere d’acquisto, costruire il proprio futuro. Capirli è il primo passo per usarli in modo consapevole. Solo quelli regolamentati offrono sufficienti garanzie di trasparenza, controllo e tutela per i risparmiatori. Allo stesso tempo, nessun mercato è giusto per tutti e nessuno, da solo, è sufficiente. La soluzione sta nella combinazione equilibrata tra essi in base ai vincoli e ai bisogni personali.
Ci hanno insegnato a risparmiare, meno spesso a investire. Nella cultura italiana, “tenere da parte” i soldi è un comportamento diffuso, quasi istintivo. Eppure, fermarsi al solo risparmio significa lasciare il proprio denaro inattivo, esposto all’erosione silenziosa dell’inflazione. Risparmiare è importante. Ma pianificare il risparmio e trasformarne una parte in investimento è ciò che consente al denaro di non perdere valore, anzi, di crescere nel tempo. Vediamo insieme come funziona questo passaggio fondamentale per la serenità finanziaria di oggi e di domani.
L’investimento deve essere razionale. Se non lo capite, non lo fate (Warren Buffet) (Ralph Waldo Emerson)
Risparmio e investimento, due facce della stessa medaglia
Il risparmio è l’atto di non consumare tutte le risorse oggi. L’investimento, invece, è l’azione di far fruttare ciò che non serve subito. Investire, quindi, è un modo efficiente per spostare risorse dal presente al futuro, mantenendone o accrescendone il valore.
Ma perché dovremmo farlo? Perché nel futuro abbiamo tutti uno o più obiettivi importanti che vanno costruiti con il tempo. Come quando si pianta un seme: all’inizio sembra solo un piccolo germoglio, ma con cura e pazienza le radici si rafforzano e con il tempo arrivano i frutti. Il risparmio è mettere da parte acqua, terra e semi, l’investimento è l’atto di coltivare la pianta per avere i frutti. Non è possibile investire bene senza aver prima risparmiato. Ma è altrettanto inutile risparmiare senza decidere come e quando impiegare quelle somme.
“Il risparmio è l’atto di non consumare tutte le risorse oggi. L’investimento, invece, è l’azione di far fruttare ciò che non serve subito.”
Investire è un mezzo che consente di avere una disponibilità maggiore nel futuro e quindi aumentare la probabilità di raggiungere gli obiettivi di vita importanti.
Gli italiani risparmiano ma…
Nel 2024, secondo Banca d’Italia, oltre 1.500 miliardi di euro sono rimasti fermi sui conti correnti. Questo denaro, in buona parte, non è investito, non è destinato a progetti, non è protetto dall’inflazione. Per ogni 10.000 euro non remunerati, si sono persi circa 2.000 euro in potere d’acquisto negli ultimi tre anni (Fonte: Istat – inflazione cumulata 2022-2024). Si stima che per i prossimi 10 anni, la perdita di potere di acquisto raggiungerà il 22%, quindi su un capitale di 10.000 potremo comprare beni per 8.170 euro.
Si consideri che ben il 50% delle famiglie italiane detiene 80% delle proprie risorse sul conto corrente e solo il 11,6% investito in strumenti finanziari. (Fonte Banca d’Italia 2024). Se queste persone investissero in modo coerente, riuscirebbero a recuperare quantomeno l’inflazione. Un’analisi sull’investimento in titoli diversificati mondiali ha rilevato che mediamente un investimento ha remunerato il 4.1% annuo al netto dell’inflazione, cioè oltre il valore dell’inflazione.
Investimento e speculazione. Le regole
C’è un’altra distinzione importante da fare quando si parla di investire. Spesso confondiamo finanza e speculazione. Sentiamo parlare di mercati che crescono e mercati che crollano, di quotazioni di fine giornata e di spread che si impenna. Queste informazioni però riguardano la speculazione, cioè l’atto di sfruttare il momento opportuno per avere un guadagno nel minor tempo possibile.
La differenza tra investimento e speculazione risiede soprattutto nel metodo. Investire significa allocare risorse con l’obiettivo di farle crescere nel tempo, in modo coerente con i propri progetti di vita. Speculare, invece, è cercare guadagni rapidi puntando su previsioni o intuizioni.
Tre regole aiutano a distinguere un investimento sano da un’azione speculativa.
– Diversificare: non mettere tutti i soldi su uno strumento solo riduce i rischi.
– Definire un orizzonte temporale: solo il tempo permette ai mercati di esprimere i loro rendimenti attesi.
– Conoscere la propria sopportabilità al rischio: quanto possiamo tollerare fluttuazioni e incertezze senza compromettere le nostre scelte.
Senza queste tre regole, si esce dal metodo e si finisce nella speculazione. Comprare, per esempio, un singolo titolo significa speculare, perché non si sta rispettando la prima regola dell’investimento.
Il premio al rischio
Il premio al rischio è il rendimento aggiuntivo che un investitore si attende per assumere un rischio maggiore rispetto a un investimento privo di rischio (come i titoli di Stato a breve termine). Storicamente, questo premio è ciò che giustifica l’investimento in azioni, obbligazioni corporate o strumenti più volatili. Questo accade perché, in cambio della maggiore incertezza, gli investitori si aspettano di essere compensati con rendimenti più elevati. Tuttavia, questo premio varia nel tempo e tra mercati, e può essere negativo nei periodi di crisi.
In Europa, secondo dati di MSCI e Morningstar, i mercati azionari hanno generato nel lungo periodo un rendimento reale medio (cioè al netto dell’inflazione) compreso tra il 4% e il 5% annuo. Questo “extra rendimento” rispetto ai titoli di Stato, è la ricompensa per sopportare volatilità e incertezza. Ma non è garantito: può esserci solo nel lungo periodo e solo se si rispetta una logica di diversificazione e coerenza con i propri obiettivi.
“Capire il concetto di “premio al rischio” è fondamentale per investire in modo corretto e secondo un certo orizzonte temporale.”
Come prepararsi
– Definire un orizzonte temporale (n. anni) per ciascun obiettivo (come comprare un’auto o mandare un figlio all’Università)
– Definire le priorità tra obiettivi
– Definire il grado di sopportabilità soggettiva al rischio
– Costruire una strategia di investimento coerente con i punti precedenti
Quest’ultimo punto richiede esperienza, strumenti e pertanto è l’attività tipica di un esperto cioè un operatore affidabile in grado di aiutare le persone a sviluppare un piano di investimento.
Investire significa abbinare la soluzione adeguata agli obiettivi di vita delle persone.
Il consiglio è quello di provare a definire un elenco di obiettivi con la medesima struttura della tabella precedente.
Conclusioni
Risparmiare è un comportamento accorto. Investire è un atto di responsabilità. Pianificare il risparmio e l’investimento è una forma di cura: verso noi stessi, verso chi ci è accanto, verso i nostri progetti futuri.
Non è necessario essere esperti di finanza per iniziare. Ma è fondamentale avere una bussola: obiettivi chiari, orizzonti temporali definiti, strategie comprensibili. E, se serve, un buon navigatore: un consulente affidabile, che sappia accompagnarci nel percorso.
Perché i soldi, se non li orientiamo noi, finiscono per fermarsi. E fermarsi, oggi, significa perdere.
La casa non è solo un tetto sulla testa: è un luogo di protezione, di identità, di investimento. Ma arriva un momento, nella vita di ciascuno, in cui ci si chiede se sia meglio cambiare abitazione o mettere mano a quella in cui si vive. È una domanda legittima, che va affrontata con metodo, visione e consapevolezza finanziaria. In questo modulo, esploriamo le implicazioni economiche del cambiare o ristrutturare casa, come programmare al meglio questo passaggio e quali variabili prendere in considerazione per fare scelte sostenibili.
Un’abitazione è fatta con muri e travi; una casa è costruita con amore e sogni. (Ralph Waldo Emerson)
Perché si cambia casa?
Si cambia casa per tanti motivi, spesso legati a cambiamenti di vita significativi. Può essere la nascita di un figlio, la necessità di avere più spazio o di spostarsi per lavoro. A volte si cerca un ambiente più tranquillo, altre si desidera essere più vicini a servizi o familiari. C’è chi cambia per migliorare la qualità della vita, chi per risparmiare, chi per investire nel mattone o sfruttare un’occasione di mercato. Spesso, alla base c’è il bisogno di sentirsi più a proprio agio, in un luogo che rispecchi meglio le esigenze del presente. Qualunque sia il motivo, il cambio casa è una decisione complessa, che tocca aspetti economici, emotivi e organizzativi. Pianificarla aiuta a farla diventare un passo avanti, non un salto nel buio.
Secondo Istat, nel 2023 ci sono stati oltre 300.000 passaggi di proprietà per abitazioni, una cifra che testimonia come la mobilità abitativa sia ancora un fenomeno rilevante, nonostante il contesto economico incerto.
“Spesso, dietro al cambio di una casa, c’è il bisogno di sentirsi più a proprio agio, in un luogo che rispecchi meglio le esigenze del presente.”
Ma cambiare casa non è un semplice trasloco. È un investimento importante, spesso legato a un nuovo indebitamento (mutuo), a spese accessorie (notarili, agenziali, fiscali) e alla necessità di liquidità immediata per affrontare i costi iniziali.
Quando ha senso ristrutturare?
In alternativa al cambio di casa, molti italiani optano per la ristrutturazione. L’ultimo Rapporto Censis (2024) mostra come oltre il 70% delle famiglie italiane viva in una casa di proprietà e che più del 40% di esse abbia effettuato almeno un intervento di ristrutturazione negli ultimi 10 anni. I motivi? Migliorare l’efficienza energetica, adattare gli spazi alle nuove esigenze familiari o semplicemente aumentare il valore dell’immobile.
Ristrutturare può essere una scelta più conveniente, se ben pianificata. Ma va tenuto conto dei tempi (mediamente 4-6 mesi), dei disagi e, soprattutto, dei costi. Una ristrutturazione parziale può costare da 300 a 800 euro al metro quadro, mentre una ristrutturazione completa può superare i 1.200 euro al mq (fonte: immobiliare.it 2024).
Ma andiamo con ordine. Le spese di ristrutturazione partono dalla demolizione e smaltimento di muri e pavimenti (20/50 euro al mq), alla ricostruzione di tramezzi, intonaci e massetti (40-80 euro al mq), all’impianto elettrico, idraulico sanitario, riscaldamento/raffrescamento (2.000/6.000 euro), ai serramenti e pavimenti, soltanto per citare quelli più rilevanti. La stima complessiva per una ristrutturazione completa :
– Parziale (solo bagno, cucina, tinteggiature): 300–600 euro al mq
– Completa chiavi in mano: 800–1.200 euro al mq
– Di pregio o energetica avanzata: 1.300–1.800 euro al mq
I costi nascosti
Chi ha già fatto operazioni come quella di una ristrutturazione importante, sa bene che le spese da aggiungere durante gli interventi sono sempre molto alte. In realtà, questi costi nascosti sono figli di stime approssimative, che non considerano tutte le fasi degli interventi, e ragionano su scenari ottimistici. Così, ci si ritrova un tubo rotto che richiede un intervento aggiuntivo, una perizia da fare in due giorni, un pavimento da riaprire perché la soletta ha ceduto.
È utile fare i conti quantomeno con le spese facilmente preventivabili come quelle indicate nella tabella seguente.
Occorre ricordarsi di aggiungere sempre un 20% di costi aggiuntivi per spese impreviste o per vizi occulti o adeguamenti normativi necessari.
Prima di decidere di ristrutturare casa, è sempre utile definire il budget a disposizione dei lavori. In sua assenza rischieremo di fare sempre le scelte più economiche: ma questo non vuol dire fare le scelte migliori.
Come decidere tra ristrutturare o cambiare casa?
Non esiste una risposta unica, ma un percorso decisionale. Il primo passo è analizzare i bisogni: quanto spazio serve davvero? Quali caratteristiche deve avere la nuova casa? Che peso hanno comfort, posizione, servizi, sostenibilità? Se la casa attuale può essere adattata con una ristrutturazione ragionevole, il miglioramento può essere significativo e meno costoso di un acquisto. Se, invece, servissero cambiamenti strutturali profondi, potrebbe convenire cambiare.
Anche i costi parlano: l’acquisto di una nuova abitazione comporta mediamente un esborso di circa 2.200 euro al mq (fonte: immobiliare.it), e a questo vanno aggiunti i costi di agenzia, notaio, tasse, trasloco, eventuale mutuo e spese accessorie, che possono superare il 10% del prezzo dell’immobile. Quindi molto più di una ristrutturazione.
Ma non è solo una questione economica. Ristrutturare significa restare in un ambiente familiare, magari vicino al lavoro o ai nonni, ma affrontare disagi e tempi lunghi. Cambiare casa significa ricominciare, scegliere qualcosa di pronto (o quasi), ma anche adattarsi a un contesto nuovo, con altri ritmi e altre regole.
“La scelta giusta si costruisce ascoltando bisogni presenti e futuri, valutando attentamente costi, benefici, tempi e impatti sulla propria quotidianità”
E come ogni scelta importante, va pianificata, non improvvisata.
Come prepararsi per una o l’altra scelta
Cambiare casa significa prima di tutto valutare il prezzo massimo che ci si può permettere, considerando il 30–35% del reddito netto mensile come soglia di sicurezza per la rata del mutuo. Occorre poi considerare sempre i costi accessori come il notaio, le tasse, eventuali ristrutturazioni necessarie, l’arredamento. Non dimentichiamoci poi di valutare la vicinanza a scuole, mezzi pubblici, lavoro, servizi sanitari e aree verdi. Una casa ben collegata è anche un buon investimento.
È necessario inoltre accertarsi che la casa sia in regola con le norme edilizie e catastali: una visura aggiornata, la planimetria conforme e l’agibilità sono documenti fondamentali da ottenere prima del compromesso. Infine, è necessario valutare l’evoluzione del valore nel futuro, considerando se la zona è in espansione, se ci sono prospettive di contesto positive o negative.
Quindi quando decidiamo di cambiare casa, valutiamo questi elementi:
– Budget e sostenibilità del mutuo – Ubicazione e servizi – Condizioni dell’immobile e spese future – Documentazione e regolarità urbanistica
Se invece decidessimo di ristrutturare casa, il consiglio è quello di procedere in tal modo:
– Definiamo quali sono gli interventi necessari, o quali desideriamo fare. – In funzione del tipo di intervento da effettuare, controlliamo se sarà necessario: richiedere solo dei preventivi ad artigiani; richiedere preventivi ad artigiani o tecnici specializzati autorizzati; individuare un progettista. – In caso di nomina del progettista, incarichiamolo di eseguire tutte le attività necessarie, affinché i lavori siano eseguiti correttamente. – Verifichiamo l’eventuale presenza di bonus o incentivi statali che possano alleggerire i costi dell’intervento. – Valutiamo la possibilità di utilizzare un finanziamento, che sia coerente con gli importi ed i tempi di restituzione utili alla corretta gestione del nostro conto economico.
Conclusioni
Cambiare o ristrutturare casa è una delle decisioni più rilevanti nella vita economica di una famiglia. Per questo va affrontata con lucidità, visione e metodo. Pianificare bene significa evitare errori costosi, ridurre l’ansia da indebitamento e garantire la sostenibilità delle proprie scelte nel tempo.
Un buon piano parte sempre da un obiettivo chiaro e passa attraverso l’analisi del proprio budget, il confronto con professionisti affidabili e una valutazione attenta delle alternative. Ricordiamoci che l’abitazione è sì un investimento economico, ma soprattutto un progetto di vita.
L’ingresso all’Università rappresenta una delle tappe più significative nella vita di uno studente. È anche uno degli investimenti economici più importanti per una famiglia. Durante l’iter scolastico dell’obbligo spesso si dà per scontato che “qualcosa si troverà” oppure con un “ci penseremo” si risolve la questione. In realtà l’Università ha un costo che cresce negli anni e sostenerla serenamente, o con difficoltà, dipende da quanto si è pianificata la spesa in anticipo.
L’apprendimento è un tesoro che seguirà il suo proprietario ovunque. – Proverbio cinese.
Perché pianificare le spese universitarie
Il 60% degli italiani (Ricerca di Kruk Italia sugli studenti universitari – 2024) ha dichiarato di essere pronto a fare delle rinunce per permettere ai figli di studiare perché lo ritiene un investimento necessario per assicurare un buon futuro. Queste risposte ci fanno pensare subito ad una buona lungimiranza, infatti, l’economista Jacob Mincer è famoso per aver trovato una relazione diretta tra redditi lavorativi e anni di istruzione, laddove ogni anno aggiuntivo di istruzione produce in media un aumento percentuale del reddito tra 8% e 10%.
Certamente ci sono altri fattori, come le abilità personali, la rete di relazioni, il caso, ma certamente la variabile che possiamo controllare maggiormente è l’istruzione.
Il tasso di occupazione per i laureati tra i 25 e i 64 anni è del 79,2%, mentre per i diplomati è del 65,2% (Education at a Glance 2022). A tre anni dalla laurea, il 77.1% dei laureati è occupato e dopo cinque anni si arriva a circa 89% (AlmaLaurea – XXV Indagine Condizione occupazionale dei Laureati – 2023). Inoltre, chi ha frequentato gli studi universitari ha una maggiore probabilità di rimanere attivo nel mercato del lavoro in età adulta (A.Stenberg, A., & Westerlund, O. -2013-. Education and retirement: does University education at mid-age extend working life? IZA Journal of European Labor Studies).
I dati oggettivi e i buoni propositi dei genitori italiani fanno ben sperare, tuttavia soltanto l’11% delle persone dice di avere cominciato a risparmiare in anticipo per questo investimento: 8% ha iniziato dalla prima infanzia e il 3% dall’adolescenza.
Quanto costa l’Università
Ogni due anni, il Censis stila una graduatoria delle migliori Università italiane. Secondo il rapporto più recente risultano essere le migliori università statali quella di Padova, Bologna e Roma La Sapienza (La classifica Censis delle Università italiane -edizione 2024/2025-). Tra quelle non statali, spicca, la Luiss di Roma, la Bocconi e la Cattolica a Milano. La graduatoria è stilata in base ad una serie di elementi, come i servizi offerti, le borse di studio, le strutture e la internazionalizzazione.
Tuttavia, la scelta dell’università non passa solo per il ranking ma anche e soprattutto dal costo della retta. Gli studenti iscritti agli atenei pubblici pagano rette che in media sono di 950 euro (Unione Universitari 2024) annui, mentre per gli atenei privati si arriva ad una media di 3.408 euro annui. I fattori che incidono sulla retta finale sono, l’ISEE familiare, la tipologia di corso, la regione, il tipo di ateneo e se lo studente è fuori corso.
Un’altra voce di spesa da considerare è quella dell’affitto, nel caso si decida di frequentare l’Università in una città differente da quella dove si risiede, il cosiddetto “fuorisede”. Milano, Bologna, Roma e Napoli sono i luoghi in cui le case per studenti costano di più. Nel capoluogo lombardo, una “singola” stanza viene affittata in media a 637 euro e una stanza condivisa costa mediamente 353 euro (Immobiliare.it 2025). In media, nelle maggiori città universitarie, una stanza costa 460 euro al mese (5.518 euro annui).
I costi annuali per sostenere le spese universitarie di un figlio sono importanti e abbracciano dai 3 ai 5 anni, nella migliore delle ipotesi. Se i genitori reputano la laurea un obiettivo importante, è necessario preparare questo obiettivo in largo anticipo, affinché il tempo possa diventare un importante alleato.
I costi nascosti
Molte famiglie si concentrano sulle rette universitarie, ma spesso trascurano altri costi che incidono in modo significativo, come:
– Depositi cauzionali, utenze, spese condominiali
– Trasporti (abbonamenti ferroviari o mezzi pubblici) – Attrezzature tecnologiche (computer, software, connessione internet) – Spese per soggiorni all’estero o Erasmus
Inoltre, più si va avanti con gli studi (master, dottorati, specializzazioni), più i costi aumentano. Una voce spesso sottovalutata è quella per gli spostamenti, per il cibo e in particolar modo quello per il materiale didattico. In generale, il costo medio complessivo del materiale didattico è stimato intorno ai 1.600 euro annui (8 Udu e Federconsumatori 2023).
In conclusione, secondo uno studio di Federconsumatori (Anno 2023) , il costo medio annuo per mantenere un figlio all’università è pari a:
– 379 euro se studia nella città di residenza – 293 euro se è pendolare – 498 euro se è studente fuorisede
Forse anche per questi motivi, Istat rileva che in Italia siamo ancora sotto la media europea in termini di laureati: solo il 26.8% ha il titolo di studio terziario (laurea) rispetto alla media UE27 pari al 41.6% (livelli di istruzione e ritorni occupazionali – istat 2021).
Italia o estero?
Inutile girarci intorno, all’estero, si può avere un’esperienza più internazionale, una maggiore flessibilità nello studio e potenzialmente più opportunità di lavoro dopo la laurea. A livello internazionale, i laureati in discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) mostrano tassi di occupazione trai più elevati. A un anno dalla laurea, i laureati che lavorano all’estero percepiscono circa 2.174 euro mensili netti, contro i 1.393 euro di chi è in Italia.
A cinque anni dalla laurea, la differenza aumenta ulteriormente, con i laureati all’estero che guadagnano circa 2.710 euro al mese, mentre in Italia si resta sui 1.708 euro. Non a caso, 2 laureati all’estero su 3 non intendono rientrare in Italia. I costi per sostenere l’Università all’estero sono molto differenti da nazione a nazione e da città a città. Ecco qualche esempio delle rette annuali, dalle più costose (private) a quelle meno costose (pubbliche europee):
– Harvard negli Stati Uniti: 85.000 euro
– Massachusetts Institute of Technology (MIT): da 50.000 euro a 80.000 euro
– Stanford University: 50.000 euro
– Cambridge: da 6.000 euro a 30.000 euro
– Università di Barcellona (UB): fino a 1.300 euro
– Università Sorbona a Parigi: fino a 600 euro
“A livello internazionale, i laureati in discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) mostrano tassi di occupazione tra i più elevati.”
Tutti vorremmo avere figli o nipoti laureati nei più prestigiosi atenei del mondo, ma servono risorse importanti a disposizione. La soluzione migliore è quella di darsi un obiettivo ragionevole e perseguirlo con un risparmio costante periodico e tarato sull’obiettivo da raggiungere.
Come prepararsi
Ipotizziamo di avere un figlio di 8 anni e di avere quindi 10 anni di tempo prima di sborsare il primo anno di costi per frequentare l’Università come pendolare, in Italia. La tabella mostra come all’aumentare del tempo a disposizione, minore è il risparmio che è necessario accantonare ogni mese: le spese del 14° anno vengono accumulate in un tempo maggiore rispetto a quelle del 11° anno.
Per una famiglia con un figlio di 8 anni, risparmiare 277 euro al mese può essere un obiettivo molto più accessibile rispetto a dover sborsare 858 euro al mese tra 10 anni (equivalenti a 10.293 euro divisi in 12 mesi). In questo modulo, ci limitiamo a ragionare di risparmio, ma rimandiamo alla trattazione dell’approfondimento sul tema di investimento per comprendere come rendere il risparmio più profittevole nei limiti della personale sopportabilità al rischio.
Conclusioni
Investire sull’istruzione significa investire sul futuro. Non tutti i costi possono essere previsti, ma molti possono essere preparati. Pianificare le spese universitarie significa evitare sorprese, dare serenità a tutta la famiglia e aumentare le opportunità di successo per chi amiamo. Offrire la possibilità di studiare senza complicazioni è il dono più prezioso che si possa trasferire ai propri figli o nipoti. Perché l’educazione è il bene più durevole che si possa trasmettere.
La decisione di fare un figlio è una scelta personale che coinvolge una valutazione ponderata di fattori biologici, psicologici, sociali ed economici. La ragione si mischia con le emozioni e con il desiderio di genitorialità. Ma che sia programmato o meno, che sia un figlio o un nipote, in tutti i casi vale la pena valutare le conseguenze per prepararsi in modo adeguato.
Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini (Dante Alighieri).
Cosa significa l’arrivo di un figlio?
L’arrivo di un figlio è un evento sempre più raro. Negli ultimi 15 anni c’è stato un calo dei nascituri del 30%, infatti nell’ultimo censimento di Istat nel 2023 sono stati registrati 379.890 nascituri. In pratica ci sono circa 6 nascite ogni 1000 abitanti. La gioia di avere un figlio è enorme per tutte le persone coinvolte, in particolar modo nel primo anno di vita (Clark et al., 2008; Myers, 2000) e in età avanzata, perché sono un fattore protettivo e arricchente per il benessere soggettivo (Myrskylä & Margolis, 2014.).
Con l’arrivo di un figlio, in particolare il primo, si crea uno specchio che stimola riflessioni su sé stessi, i propri valori, il proprio passato. Tanto che il 37% degli adulti desidererebbero avere più figli (US Adult Sexual Behaviors and Attitudes study, 2021). Soltanto il 29% degli adulti non vorrebbe un figlio, laddove secondo una ricerca del 2023 (Pew Research Center), i principali 3 motivi per cui le coppie non intendono avere figli, risultano essere: la priorità alla carriera (44%), la preoccupazione per lo stato del mondo (38%) e il fatto di non potersi permettersi di crescere i figli (36%).
Gli eventi che si collocano in un futuro, più o meno lontano, vanno preparati da un punto di vista economico sia per i genitori che per i nonni, o gli zii, che sempre più spesso si trovano coinvolti in questo evento speciale.
Che sia più o meno programmato quello che spinge ad avere un figlio è, nella maggior parte delle volte, un desiderio forte di genitorialità che irrompe nella psiche degli adulti.
Quali impatti economici?
La nascita di un figlio è un evento intensamente emotivo. Ma andando ad analizzare gli aspetti economico finanziari, avere un figlio ha un impatto economico importante. Si stima (Istat) che l’entrata in famiglia del primo figlio faccia aumentare i consumi del 34%. Il secondo figlio aumenta i consumi del 22%, il terzo del 16%. Quindi due genitori che spendono 3.000 euro al mese, con l’arrivo del primo figlio andranno a spendere 4.020 euro al mese (il 34% in più).
Aumentano le spese di cibo, vestiti, scuola, sanità e tempo libero. In media, il costo che sostiene una famiglia italiana alla nascita di un figlio varia tra 7.431 euro e 17.586 euro nel primo anno di vita. Naturalmente l’impegno economico dipende dalle disponibilità reddituali e, si noti che in periodi di crisi economica, i genitori tendono a ridurre diverse spese familiari tranne quelle per i figli. Talvolta si riduce il reddito disponibile quando uno dei due genitori riduce l’orario di lavoro per dedicarsi alla cura del nascituro o addirittura lascia il lavoro.
Gli impatti economici legati alla crescita di un figlio sono significativi. Quantificarli non serve a scoraggiare la genitorialità, ma a consentire una pianificazione consapevole, dando priorità alle spese più rilevanti per il benessere familiare.
Cosa organizzare per il futuro dei figli?
L’arrivo di un figlio non ha solo un impatto sul futuro prossimo, sulle notti insonni, sui pannolini da comprare e sulle visite mediche da prenotare. Ma ha un impatto economico sui successivi 32 anni, se figlio femmina, e sui successivi 34 anni, se figlio maschio. Questi sono i tempi medi di dipendenza economica dai genitori.
Immaginare di aiutare i propri figli a realizzare un obiettivo, come ad esempio l’acquisto di una casa, un viaggio all’estero o l’avvio di un’attività, aiuta a creare una forte motivazione al risparmio. La propensione al risparmio delle famiglie che hanno figli, nonostante l’aumento dei consumi, è maggiore rispetto ai single o alle coppie senza figli. Per fare un esempio concreto di obiettivo, un periodo di studio all’estero può andare da 2 settimane ad 1 anno intero, e richiedere un esborso che passa da circa 2.000 euro fino a 30.000.
“Immaginare di aiutare i propri figli a realizzare un obiettivo, aiuta a creare una forte motivazione al risparmio.”
Pianificare finanziariamente il futuro significa immaginare quello che vorremmo accadesse di positivo per i propri figli e agire oggi per aumentare le probabilità di realizzarlo. Il poeta greco Esiodo disse “Se aggiungi poco al poco, ma lo farai di frequente, presto il poco diventerà molto”.
Crescere un figlio fino alla maggiore età
Crescere un figlio fino ai 18 anni rappresenta un impegno economico significativo per le famiglie italiane. Secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori, il costo medio per mantenere un figlio da 0 a 18 anni si aggira intorno ai 175.642 euro (118.234 euro per i redditi più bassi e 321.617 euro per chi riceve alti redditi). Questa cifra comprende spese per alimentazione, abbigliamento, istruzione, salute, trasporti e attività ricreative.
Nella fascia d’età 12-18 anni, le spese aumentano ulteriormente per includere corsi di lingua, abbigliamento, vacanze, dispositivi elettronici e libri scolastici. È importante notare che questi costi non includono le spese per l’istruzione universitaria, alle quali dedicheremo un articolo specifico.
Oggi una coppia senza figli, risparmia in media circa 4.942 euro al mese (Istat 2023), quindi a parità di comportamenti, collocandosi sui valori prudenziali, se dovessero avere un figlio, nel periodo tra 12 e 18 anni faticherebbero a coprire i costi durante la scuola secondaria. Un detto partenopeo ci ricorda che “dove mangiano due persone, mangiano anche tre persone”, ma questa scorciatoia mentale non ci esonera dal compiere oggi piccole scelte responsabili di risparmio che producano i loro maggiori effetti nel futuro nostro e quello dei nostri cari.
Pianificare per tempo le spese future, significa poter avere a disposizione una mappa dei criteri di scelta del presente con i migliori effetti sul futuro.
Come risparmiare oggi per il domani
Vediamo insieme quali sono i passi per pianificare e organizzare quanto risparmiare per obiettivi importanti come l’istruzione del proprio figlio o nipote.
– Il primo passo è stabilire obiettivi chiari e realistici: coprire le spese di istruzione dei figli, aiutarli nella realizzazione di un progetto o dotarli di un fondo di emergenza.
– Collocare gli obiettivi su di un orizzonte temporale, poiché questo elemento ci permette di capire quanto oggi dovremmo accantonare e con quale frequenza, al fine di avere buone probabilità di raggiungerli.
– Valutare quante risorse sono già state accumulate per raggiungere quell’obiettivo di spesa.
– Calcolare quanto manca al raggiungimento completo dell’obiettivo.
– Determinare quanto è necessario risparmiare mensilmente per poter raggiungere quell’obiettivo. – Automatizzare i risparmi, ad esempio tramite bonifici periodici su un conto dedicato, facilita l’accantonamento costante. – Monitorare nel tempo la spesa obiettivo, le priorità, il risparmio ideale e quello effettivamente realizzato.
In questo modulo, ci limitiamo a ragionare di risparmio e rimandiamo alla trattazione dell’approfondimento sul tema di investimento per comprendere come rendere il risparmio più profittevole nei limiti della personale sopportabilità al rischio.
Conclusioni
La nascita e la crescita di un figlio rappresentano obiettivi familiari di grandissima rilevanza. Gli adulti che hanno figli indicano tra le prime motivazioni al risparmio quella di assicurare il futuro dei propri figli. Per questo motivo, riflettere sugli impatti economici e pianificare le azioni da compiere per massimizzare la probabilità di raggiungere gli obiettivi prefissati è un atto di responsabilità genitoriale e un gesto d’amore verso chi non è ancora economicamente indipendente.