da g.zucchetti | 3 Nov, 2025 | Educazione Finanziaria
Vituperate, maltrattate, accusate… le previdenze pubbliche sono, anche ingiustamente, sotto la lente dell’accusa. Se dobbiamo andare in pensione troppo tardi ci sembrano inique, se consentono di andarci troppo presto sono insostenibili. Certo, alcuni fatti sono incontrovertibili. I conti, ad esempio, saranno pure equi ma una vita di contributi si traduce, quasi sempre, in un assegno mensile insufficiente. Che fare, dunque?
Dal dire al fare c’è di mezzo l’integrare
La soluzione è molto semplice, e non è neppure nuova perché è stata testata e rodata per bene: si chiama previdenza complementare. Sarà affidabile? Chi la gestisce? Costa troppo, rende a sufficienza? Ci darà davvero una pensione?
Le domande che frenano lo sviluppo di un servizio che oramai è divenuto essenziale per darci il benessere che meritiamo sono molte.
“La soluzione per ottenere il benessere che meritiamo si chiama previdenza complementare”
Così, da giovani rimandiamo la decisione perché ci pare troppo presto e all’avvicinarci della pensione rimpiangiamo di non averci pensato prima.
Quale incantesimo ci impedisce di fare quel che tutti sappiamo di dover fare? Proviamo a dare alcune risposte.
L’ABC della previdenza complementare
Il meccanismo di base delle previdenze complementari è molto semplice: si investono dei soldi (liberi nella misura e nella periodicità) e questi soldi generano, all’età in cui scatta la pensione pubblica, un capitale, che in tutto o in parte si converte in un assegno pensionistico che durerà per tutta la vita. La fase di creazione del capitale “servile” si chiama fase di accumulo e dura finché non si entra in pensione.
La fase di percezione dell’assegno pensionistico, in forma di rendita vitalizia, si chiama decumulo perché tecnicamente usa il capitale un po’ per volta per essere convertito in una rendita.
Il funzionamento standard è semplice, come abbiamo messo in luce, ed è lo stesso di ogni forma previdenziale, pubblica e privata. Quello che cambia è il soggetto, il tipo di investimento, il modo in cui il capitale si trasforma in rendita. In tutti i casi, sono previste possibilità di uso diverse da quelle immaginate.
I soggetti autorizzati a istituire una forma di previdenza complementare sono diversi, e danno luogo a diverse forme:

Ogni forma ha propri costi, gestionali e distributivi, che influiscono sulla prestazione finale e che remunerano amministrazione, gestione, distribuzione.
Le logiche della previdenza complementare
Veniamo al tipo di investimento. Qui la differenza rispetto alla pensione pubblica è enorme, perché i soldi delle previdenze complementari vengono accantonati e rendicontati in una posizione individuale, mentre l’INPS, che versa i contributi dei lavoratori ai pensionati, non ha di fatto riserve e “cassa”.
Inoltre, mentre il rendimento dei contributi pubblici obbligatori è connesso all’andamento del PIL, qui i rendimenti deriveranno dal comparto di investimento che si sceglie, all’interno delle possibilità offerte da ogni singola forma. Se si ha tempo, come sempre, conviene scegliere investimenti più azionari, per cogliere la crescita del mondo, sopportando qualche oscillazione. Se il tempo è poco, meglio scegliere forme più conservative, per evitare bruschi sbalzi del proprio capitale a ridosso della pensione.
La cosa interessante dell’investimento previdenziale è che, dati i tempi spesso molto lunghi, investire in strumenti a basso rischio finanziario significa privarsi dalla partecipazione alla crescita dei mercati e, in ultima analisi, ridursi la pensione complementare attesa. Allo stesso tempo, bisognerebbe essere capaci di non guardare il proprio investimento pensionistico troppo di frequente, perché non si deve fare una corsa da velocista ma una maratona. Per unire tempi lunghi e sicurezza all’avvicinarsi dell’età pensionabile, molti fondi pensione usano un meccanismo automatico di arretramento del profilo di rischio via via che passa il tempo. Questo meccanismo, definito “Life cycle” è ritenuto particolarmente coerente con il tipo di investimento.
“Bisognerebbe essere capaci di non guardare il proprio investimento pensionistico troppo di frequente, perché non si deve fare una corsa da velocista ma una maratona”
Infine, il capitale viene trasformato in rendita ma… come? Essendo la previdenza un tema di interesse pubblico, e per questo fortemente regolamentato, la trasformazione avviene utilizzando tavole statistiche approvate dalle istituzioni di controllo e che stimano la durata di vita media del pensionando. Le statistiche considerano le età di inizio pensione, e i rapporti di conversione tra capitale e rendita sono uguali a prescindere dal genere di appartenenza. Le pensioni complementari sono gestite da Compagnie di assicurazione sia nei fondi negoziali che in quelli aperti e nei PIP per garantire la gestione sicura ed efficiente dei pagamenti delle rendite.
In estrema sintesi, si versano dei soldi, i mercati ed i gestori sono incaricati di farli crescere e alla fine ciascuno avrà, per sempre, una pensione calcolata sull’aspettativa di vita media, controllata e tutelata. Il meccanismo è simile a quello delle previdenze pubbliche, ma con alcune differenze significative, che troverete in tabella:

Il meccanismo non è dunque complesso ma…sono sicure le forme pensionistiche complementari?
Quanto è protetta e incentivata la previdenza complementare
Iniziamo col dire da subito, che la previdenza complementare è stata istituita per legge ed è tutelata ed incentivata perché il benessere dei pensionati è tema di interesse pubblico. Le due leggi che hanno istituito prima e regolato poi l’intero settore sono il decreto Legislativo 21 aprile 1993, n. 124 ed il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.
Più specificamente, la previdenza complementare in Italia è soggetta a un sistema di tutela molto solido, a protezione degli aderenti e che comprende una rigorosa sorveglianza della COVIP, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l’autorità pubblica preposta alla vigilanza sull’intero sistema della previdenza complementare. Vi è inoltre, come accennato, una totale separazione patrimoniale tra il patrimonio dei fondi pensione e quello degli enti che li hanno istituiti e/o che ne gestiscono le risorse.
Non ci sono solo garanzie, ma anche incentivi. I tre principali sono:

Come scegliere il piano più appropriato
Le variabili che influiscono su tutti i fondi pensione sono tre: i costi, la gestione finanziaria e la conversione in rendita.
Certo, tutti vorremmo un prodotto che rende molto, costa poco e converte con i massimi coefficienti ma la realtà è differente ed ogni forma ha un suo equilibrio.
C’è inoltre da aggiungere due temi: nelle forme negoziali, il contributo datoriale aiuta a costruire capitale e quindi rendita.
Nelle forme aperte e individuali, bisogna valorizzare attentamente il contributo della consulenza, ossia del lavoro di esperti professionisti che ci aiutano a scegliere. La misura del versamento, il comparto più coerente con i tempi ed i rischi, le modalità di utilizzo delle somme accantonate e, soprattutto, ci aiuta a non rimandare le scelte che vanno fatte “oggi”.
Per fare un esempio, con 1.000 euro all’anno investiti in una forma pensionistica a rischio medio a 30 anni potremmo aspirare (scenari probabilistici) a una pensione integrativa 3.665 euro, mentre se iniziamo il versamento a 40 anni la rendita scenderebbe a 2.000 euro.

Conclusioni
Rammaricarci per lo scarso apporto delle previdenze pubbliche è frequente, ma non sufficiente se non adottiamo le contromisure necessarie. Il supporto più naturale per integrare la previdenza pubblica è la previdenza complementare, che unisce sicurezza, efficacia, flessibilità ed è incentivata.
Un piano di previdenza non è complesso in sé; richiede però valutazioni sul versamento, sul comparto di investimento, sull’utilizzo delle possibilità che è bene valutare con chi professionalmente si occupa del tema. In tutto questo, come sempre, non si può non decidere ed ogni ritardo si ripercuote, meccanicamente, sulla prestazione che avremo. Ne deriva, semplicemente, che il migliore giorno per iniziare un piano previdenziale è oggi.
da g.zucchetti | 27 Ott, 2025 | Educazione Finanziaria
I tempi e i soldi: quanto contano
Quando si pensa alla pensione, la si considera spesso come un traguardo, un filo di lana che segna la fine di una corsa. Le cose sono molto diverse: il traguardo pensionistico, infatti, è solo un punto intermedio, che peraltro qualcuno sposta avanti o indietro di continuo. Inoltre, proprio perché è intermedio, dopo il primo traguardo c’è un altro, lungo e importante, cammino da fare. Quanta benzina ci serve per affrontarlo? Sarà pianeggiante, in salita, dritto o inframezzato da curve?
Per gestire bene questa “seconda parte” del viaggio della vita bisogna misurare i quando ed i quanto. Altrimenti, si vive di rimorsi e privazioni. Misurare i tempi significa capire quando arriveremo in pensione e quanto tempo ci passeremo. Misurare i soldi significa sapere quanto ci servirà per vivere bene e a lungo e questo è fortemente condizionato da quanto potremo aspettarci dalle previdenze pubbliche.
“Misurare i tempi significa capire quando arriveremo in pensione e quanto tempo ci passeremo. Misurare i soldi significa sapere quanto ci servirà per vivere bene e a lungo”
Dimmi quando, quando, quando
“Dimmi quando tu verrai, dimmi quando, quando, quando…”. Il testo riportato è tratto da una canzone del 1963, più o meno quando nacquero coloro che andranno in pensione nei prossimi (pochi) anni. Per noi, che ci occupiamo di pensione, i “quando” da considerare sono 5:
– Quando vorrei iniziare la mia pensione. È, questo, un tempo del desiderio, che è del tutto disaccoppiato dai tempi di legge o quelli del lavoro
– Quando posso smettere di lavorare. Questo tempo si definisce in base ai requisiti della propria posizione previdenziale, ed alle azioni che possono modificarli (esempio: il riscatto degli anni di laurea)
– Quando è possibile che io mi trovi senza lavoro. È un tempo di emergenza, che andrebbe considerato e che riguarda la possibilità che negli ultimi anni il lavoro finisca prima che si siano maturati i requisiti pensionistici
– Quanto a lungo vivrò in pensione. È il tempo di permanenza nella “pensione”, che aumenta di continuo per la crescita generale della longevità umana
– Come cambieranno i tempi di inizio e di fine della pensione. I tempi di inizio e di fine, di legge sono infatti continuamente mutevoli nel tempo, e questo scivolare dei numeri va seguito e tenuto sotto controllo.
Il “quando posso smettere di lavorare” è definito dai requisiti pensionistici e varia da categoria a categoria previdenziale. In linea generale, e prendendo ad esempio il mondo INPS, possiamo stimare la nostra età di inizio pensione attraverso il simulatore “La Mia Pensione”, disponibile sul sito INPS e accessibile con lo SPID. Per avere una idea, chi ha iniziato a lavorare prima del 1 gennaio 1996 potrà confrontarsi con la tabella che segue:

Chi, invece, ha iniziato a contribuire dopo il 1 gennaio 1996 potrà avere alcune indicazioni dalla tabella che segue:

Un punto di attenzione riguarda gli asterischi: ogni cifra indicata, infatti, viene verificata ogni due anni e, se la speranza di vita media cresce, viene adeguata automaticamente a tale crescita. Concretamente, se in un biennio si registra un aumento medio della speranza di vita di 3 mesi, si andrà in pensione 3 mesi dopo e così via. La conseguenza pratica è che il momento futuro di inizio pensione non può essere calcolato con precisione prima, ma solo stimato.
Misurare gli importi attesi
Le misure del tempo sono cruciali, come quelle economiche, che derivano dalla vita che immaginiamo: una pensione passata in viaggio per il mondo richiede una quantità di danaro molto diversa da una passata in casa a riposare. Le pensioni vissute in città, peraltro, costano meno delle pensioni vissute in provincia e così via.
Come destreggiarsi? Innanzitutto immaginando la vita che vogliamo, che non coincide con quanto guadagniamo e spendiamo ora. In secondo luogo, bisogna avere una idea di quanto la previdenza pubblica ci sosterrà. I calcoli delle prestazioni pensionistiche pubbliche non sono complicatissimi. Per equità, la nostra pensione si ottiene sommando tutti i contributi che abbiamo versato in vita e dividendoli per il numero di anni che passeremo in pensione. I numeri che regolano questi rapporti si chiamano coefficienti di trasformazione e, per le età che vanno da 65 a 71, sono i seguenti:

Questo fa sì che i conti siano in equilibrio teorico, anche se di fatto non c’è accantonamento, perché i contributi che versiamo oggi vanno ai pensionati di oggi e non a noi domani.
Facciamo un esempio: se nel corso di una vita i contributi versati ammontano a 400.000 euro (ipotesi di un versamento medio di 10.000 euro l’anno per 40 anni, pari a circa un terzo di un reddito annuo lordo complessivo di 30.000 euro per lavoratori dipendenti), la pensione convertirà questa somma in pensione annua vitalizia in base al numero di anni di speranza di vita media di chi va in pensione . Se si va in pensione a 67 anni di età la pensione annua lorda verrà calcolata come segue:
P = 400.000 € x 5,608% = 22.432 €

Anche qui, vanno fatte alcune considerazioni. La prima è che il nostro esempio è molto teorico, perché nella pratica i redditi in età giovani sono mediamente bassi, e si versano pochi contributi. Il secondo è che anche i coefficienti vengono adeguati ogni due anni, ed abbassati se la speranza di vita cresce. Il terzo elemento di discussione riguarda i contributi: i lavoratori autonomi, ad esempio, versano molto meno di un terzo del proprio reddito (circa un quarto). Infine, va detto che i contributi si rivalutano nel tempo, ma in base al PIL e non all’inflazione.
Questo fa sì che il tasso di crescita applicato, negli ultimi anni, sia molto ridotto. In tutti i casi, sia per INPS che per alcune casse previdenziali di categoria sono disponibili sui siti di appartenenza simulatori che mostrano età pensionabili e importi lordi attesi.
Conclusioni
Prevedere con precisione il futuro è quasi impossibile, ma organizzarsi è essenziale.
Bisogna, quindi, cominciare a identificare il tempo desiderato della pensione, che andrà confrontato con i requisiti della propria posizione previdenziale, e darsi una misura di spese che dovranno essere sostenute grazie ai redditi previdenziali, a partire da quelli della previdenza pubblica. Le misure sono cruciali per non farsi trovare impreparati. Il confronto tra i nostri obiettivi di sicurezza /stabilità e le prestazioni pubbliche delle quali disporremmo in pensione ci darà una misura del problema da risolvere, o al contrario ci evidenzierà che possiamo dormire sonni sereni. In ogni caso, interessarsi del proprio futuro è quasi doveroso.
da g.zucchetti | 23 Ott, 2025 | News
Un nuovo accordo da oltre 30 milioni di euro per favorire l’accesso al credito e promuovere investimenti in innovazione e sostenibilità
Banca del Piemonte rafforza il proprio impegno a fianco delle imprese italiane, attivando tre nuove linee di garanzia concesse dal Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) – parte del Gruppo BEI – per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro.
L’iniziativa, sostenuta dal programma InvestEU dell’Unione europea, è pensata per facilitare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese e promuovere investimenti strategici in innovazione, transizione digitale, ambientale e sociale, con un impatto concreto sul tessuto produttivo del Nord-Ovest.
“L’operazione è di fondamentale importanza per il rilancio del territorio, con l’obiettivo di promuovere una crescita sostenibile e inclusiva che guardi al futuro con fiducia” ha dichiarato Camillo Venesio, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca del Piemonte. “Questi strumenti rappresentano un’opportunità concreta per sostenere la transizione digitale, ambientale e sociale, rafforzando le imprese già attive e favorendo la nascita di nuovi progetti.”
Il contesto economico attuale richiede scelte strategiche e strumenti adeguati per affrontare le sfide di un mercato in continua evoluzione. In questo scenario, Banca del Piemonte conferma la propria vocazione di partner affidabile per lo sviluppo delle imprese, offrendo soluzioni concrete, solidità e fiducia.
“Sostenere l’accesso al credito per le PMI, promuovendo i loro investimenti nella doppia transizione digitale ed ecologica, è la missione principale del FEI” ha commentato Marco Marrone, Chief Investment Officer del FEI. “L’accordo con Banca del Piemonte, sostenuto da InvestEU, va esattamente in questa direzione: le nostre garanzie permetteranno alle imprese del Nord-Ovest di accedere a nuove risorse a condizioni vantaggiose, favorendo investimenti strategici per il loro futuro.”
Con questa operazione, la nostra Banca rinnova il proprio ruolo di motore di crescita per le realtà locali, contribuendo a costruire un’economia più innovativa, sostenibile e inclusiva.
Leggi il Comunicato Stampa
da g.zucchetti | 20 Ott, 2025 | Educazione Finanziaria
Pianificare il passaggio generazionale è un atto di responsabilità e rispetto verso i propri cari.
Affrontare la perdita di una persona amata comporta già il difficile compito di riordinare i suoi beni, un’esperienza emotivamente intensa e complessa, con risvolti sia psicologici che economici. Pianificare la successione significa valorizzare ciò che abbiamo costruito nella nostra vita, semplificare quella di chi resta, prevenire litigi e facilitare il ritrovamento di documenti preziosi. Non a caso, un famoso proverbio dice: “Chi non fa testamento, lascia liti in eredità.”
Pianificare per tempo è quindi essenziale, ma da dove si parte?
Le domande chiave del passaggio generazionale
Per una pianificazione efficace, è fondamentale porsi alcune domande chiave. La prima riguarda i desideri e i destinatari dell’eredità, in assenza di vincoli. La seconda questione è legata a ciò che la legge italiana consente realmente, poiché i desideri non sempre combaciano con le normative. La terza domanda riguarda le imposte di successione da pagare, che variano in base al grado di parentela e al tipo di bene. Infine, l’ultimo passaggio è capire quali sono le strategie più adatte per gestire l’eredità.

Senza una pianificazione specifica, si applica la successione legittima per legge, il che può non riflettere le nostre vere volontà e comportare costi o complicazioni.
A chi lasciamo l’eredità e cosa lasciamo?
Questa decisione, profondamente personale e intima, ci invita a riflettere sul nostro percorso di vita e sulle persone che lo hanno condiviso. Dovremmo sentirci liberi di assegnare il patrimonio che abbiamo costruito nel tempo a chi desideriamo.
Il risultato di questa riflessione è un elenco, più o meno esteso, di persone che identifichiamo come i nostri “eredi ideali”.
In un secondo momento, valuteremo se questo desiderio si allinea con ciò che la normativa consente, oppure no.

Il passo successivo consiste nel compilare un inventario dettagliato dei beni a nostra disposizione. Questa lista è cruciale per definire l’asse ereditario, ovvero l’insieme di tutti i beni, diritti e obbligazioni che rientreranno nella successione.
L’asse ereditario include anche proprietà immobiliari (come edifici e terreni), aziende e partecipazioni societarie.

Censire con precisione i beni di cui si è in possesso è un’operazione fondamentale e richiede grande attenzione.
Se il patrimonio è considerevole o frammentato, può infatti diventare complesso identificare tutti i possedimenti a posteriori.
Ciò renderebbe necessarie indagini approfondite per determinare con esattezza sia i beni immobili che quelli mobili appartenenti al defunto. Dopo aver chiarito chi vorremmo come erede e quali beni possediamo, è il momento di verificare cosa la legge ci permette di fare.
A chi posso lasciare i miei beni?
Quando una persona viene a mancare senza aver lasciato le proprie volontà, la successione è interamente disciplinata dalla normativa vigente. Le persone identificate come eredi legittimi sono il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli, le sorelle e i parenti fino al sesto grado. Se non vi sono parenti entro questo grado di parentela, il patrimonio viene devoluto automaticamente allo Stato, il quale si assumerà anche eventuali debiti.
La legge favorisce i legami di parentela più stretti con il defunto, seguendo il cosiddetto principio di gradualità. Ad esempio, in presenza di un solo figlio e del coniuge, i beni verranno equamente divisi a metà. Se invece vi sono più figli, al coniuge spetta un terzo dell’eredità, mentre i restanti due terzi saranno ripartiti in parti uguali tra i figli. E così via…
La tabella seguente mostra il meccanismo che regola la successione legittima in assenza di testamento, per alcune categorie esemplificative di soggetti:

La probabilità che gli eredi “Legittimi” non corrispondano alle aspettative o ai desideri del defunto è però oggi più alta che mai a causa dei profondi cambiamenti sociali e demografici che hanno interessato la struttura della famiglia in Italia.
Il diritto successorio italiano, pur essendo stato oggetto di alcune riforme, non ha ancora pienamente colmato il divario con la realtà sociale contemporanea, caratterizzata da una maggiore fluidità e diversità nelle forme di convivenza e relazione.
Ci sono delle imposte da pagare?
L’imposta di successione è un tributo che si applica sul valore dei beni (immobili, denaro, titoli, gioielli, aziende, ecc.) che vengono trasferiti da una persona defunta ai suoi eredi. Non è un’imposta sul singolo bene, ma sull’intero patrimonio netto ereditato da ciascun beneficiario. L’ammontare dell’imposta varia in base a due fattori principali: il grado di parentela e le franchigie, ovvero soglie di valore entro le quali non si è tenuti a pagare l’imposta. L’imposta si applica solo sulla parte del valore che eccede la franchigia.
Per memoria, le aliquote e le franchigie sono le seguenti:
– Coniuge, Figli, genitori (aliquota 4%, franchigia 1.000.000 €)
– Fratelli e sorelle (aliquota 6%, franchigia 100.000 €)
– Altri parenti fino al 4° grado (aliquota 6%, nessuna franchigia)
– Convivente, altre persone (aliquota 8%, nessuna franchigia)
In pratica, se un figlio eredita € 1.200.000, l’imposta del 4% si calcola solo su € 200.000 (€ 1.200.000 – € 1.000.000).
“L’ammontare dell’imposta varia in base al grado di parentela e della franchigia”
Un discorso a parte lo merita l’imposta sugli immobili. Secondo i dati aggiornati al 31 dicembre 2023, il nostro Paese conta circa 35,6 milioni di abitazioni, corrispondenti a una media di due case ogni tre abitanti (fonte: Osservatorio del Mercato Immobiliare, Rapporto “Statistiche catastali 2023”). Siamo dunque un paese di proprietari di casa. Se nell’eredità sono presenti beni immobili, oltre all’imposta di successione principale, dovremo pagare due imposte aggiuntive: l’imposta Ipotecaria (pari al 2% del valore catastale degli immobili) e l’imposta Catastale (pari all’1% del valore catastale degli immobili).
In sintesi come si può evincere, interpretare correttamente la propria posizione può essere complesso, soprattutto in presenza di patrimoni ingenti o situazioni familiari articolate. Nella valutazione delle imposte di successione è dunque sempre consigliabile rivolgersi a un professionista per una consulenza personalizzata e per la corretta gestione di tutti gli adempimenti.
Cosa possiamo fare?
Se dall’analisi condotta emerge che i beneficiari che si vorrebbero designare non corrispondono (totalmente o parzialmente) agli eredi stabiliti per legge, o se si avverte la necessità di ottimizzare l’imposizione fiscale, allora è il momento di intervenire e pianificare. Al di là della quota di legittima – quella porzione del patrimonio vincolata da norme inderogabili e destinata a specifiche categorie di parenti fino al sesto grado – possiamo assegnare una quota disponibile.
Questa quota, anch’essa definita legalmente, rappresenta la parte del patrimonio che possiamo liberamente attribuire a chiunque, indipendentemente dai legami di parentela riconosciuti dalla legge. L’ampiezza di questa porzione varia in base al numero di eredi legittimi esistenti, consentendo così di favorire persone con cui si hanno forti legami affettivi, ma che non rientrano nelle gerarchie successorie standard.
Di seguito un esempio di ripartizione tra quota legittima e quota disponibile.

Per disporre della quota disponibile occorre utilizzare strumenti successori appropriati, quali?
Alcuni strumenti utili
Tra i principali strumenti che ci possono aiutare a liberare la quota disponibile vi sono il testamento e la polizza vita.
Il testamento è un atto revocabile con il quale una persona, capace di intendere e volere, dispone dei propri beni per il tempo in cui non ci sarà più. Nel contesto italiano esistono diversi tipi di testamento: c’è quello olografo (una scrittura privata per la quale sono necessari alcuni requisiti formali, come il fatto di dover essere scritto di proprio pugno, essere datato e sottoscritto), quello pubblico per atto di un notaio e in presenza di testimoni, quello segreto, ossia scritto dal testatore o da un terzo e consegnato ad un notaio, il quale redige un verbale di ricevimento. Se si sceglie di fare testamento, occorre fare attenzione ad alcuni aspetti: le regole relative alle ripartizioni delle quote, la non segretezza nell’apertura, un costo potenzialmente non irrisorio (ad esempio il notaio), la possibilità di essere impugnato e di scatenare liti tra gli eredi.
Oltre al testamento, è possibile sottoscrivere una polizza vita con finalità successoria. Uno strumento del mercato con dignità testamentaria che permette di liberare la quota disponibile in favore di qualunque soggetto, anche esterno alla famiglia. Il motivo di utilizzo delle polizze vita a fini successori non è solo qualitativo. C’è infatti un beneficio fiscale rilevante e che consiste nel disporre di somme che sono al di fuori della tassazione prevista in caso di successione.
“Il testamento è un atto revocabile con il quale una persona, capace di intendere e volere, dispone dei propri beni per il tempo in cui non ci sarà più.”
Con un panorama familiare e legale sempre più complesso, un supporto specialistico può aiutare a navigare tra le normative, evitare errori costosi, ottimizzare l’aspetto fiscale e garantire che il nostro patrimonio sia distribuito esattamente secondo le nostre volontà, tutelando ogni persona o causa a cui teniamo, anche al di fuori dei tradizionali legami di parentela.
Conclusioni
Il nostro patrimonio è ben più della semplice somma dei beni: è il frutto di una vita di impegno, valori e affetti. Non si dovrebbe permettere che diventi un campo di battaglia o un labirinto burocratico. Pensiamo a chi ha dedicato anni a costruire la casa dei suoi sogni, per poi vederla divisa in mille rivoli da liti ereditarie, una volta venuto a mancare senza aver lasciato chiare indicazioni.
Pianificare il passaggio generazionale in vita permette di trasformare il proprio lascito da potenziale problema in un gesto di amore e lungimiranza che guiderà serenamente il futuro di chi resta.
da g.zucchetti | 13 Ott, 2025 | Educazione Finanziaria
Si narra che il filosofo Talete subisse continue ed incessanti pressioni dalla madre per sposarsi. Quando lei gli chiedeva: “perché non ti sposi, Talete?”, lui rispondeva sempre che era ancora presto, essendo troppo giovane. La madre però non demordeva e continuò ad insistere negli anni, finché un giorno Talete, vedendosi con capelli e barba bianca riflesso in uno specchio, rispose che era troppo tardi per sposarsi, perché era troppo vecchio.
Questo, più o meno, è quel che accade quando pensiamo alla pensione. Per metà vita, l’idea di fare i conti con la fine del lavoro ci è del tutto distante, e finisce in fondo al cassetto delle priorità. A un certo punto però, facendo i primi conti, ci rendiamo conto che avremmo dovuto pensarci prima. Come spezzare questo sortilegio?
“È sempre troppo presto o troppo tardi per occuparci della pensione. Quindi, il momento migliore è adesso”
Prevedere o pianificare
Uno dei motivi per i quali facciamo fatica a pensare al futuro è che troviamo improponibile prevedere oggi quel che potrà accadere domani, e di fronte a scenari tanto incerti, preferiamo rifugiarci nel “non fare”. Dovremmo, diversamente, apprendere a non confondere le previsioni con la pianificazione.
Prevedere, infatti, significa anticipare o stimare ciò che accadrà in futuro, per capire cosa potrebbe succedere. Ne sono esempi il meteo, o i sondaggi elettorali. Prevedere è tanto più complesso quanto più ampi sono il tempo delle previsioni e le variabili in gioco ma soprattutto la previsione non implica un controllo diretto sull’evento: interpreta ma non cambia.
Pianificare, diversamente, significa intraprendere azioni e mettere in campo risorse per raggiungere un obiettivo specifico. Un piano organizza azioni concrete ed intende modificare il futuro per avvicinarsi a quello desiderato. Si tratta di decidere “cosa fare” per far sì che qualcosa accada o si eviti. Prevedere il nostro futuro è molto difficile. Organizzarsi perché sia desiderabile è doveroso.
“Pianificare significa intraprendere azioni e mettere in campo risorse per raggiungere un obiettivo specifico”
Le fasi di un piano
Organizzare la propria pensione per renderla apprezzabile richiede alcune fasi, che derivano dagli standard di qualità ISO sulla pianificazione. Le fasi di lavoro sono le seguenti:
– Raccolta dati e determinazione degli obiettivi e delle aspettative. Qui bisogna immaginare quel che ci piacerebbe essere e fare quando smettiamo di lavorare.
– Analisi e valutazione della situazione finanziaria e previdenziale, per capire quali risorse abbiamo già a disposizione per avvicinarci agli obiettivi stabiliti in precedenza.
– Sviluppo del piano previdenziale, che consiste nel definire quali azioni vorremmo intraprendere per migliorare la nostra pensione futura
– Attivazione, che consiste nel mettere in atto i nostri propositi nel concreto
– Fare continuo monitoraggio del piano nel tempo, per adattarlo ai cambiamenti familiari, economici, normativi, ecc.

Il futuro non è adesso
La prima cosa da tenere in considerazione è che la definizione di un futuro desiderato non coincide con la vita che facciamo ora, né in termini di consumi né di redditi. Pensiamoci un istante: oggi molti di noi passano gran parte del tempo a lavorare, e le proprie passioni sono spesso confinate nei ritagli di tempo. Domani il tempo sarà tanto, e sarà bello decidere che farne. Alcuni di noi, inoltre, oggi hanno figli a casa o mutui che stanno pagando. Questo, ragionevolmente, non accadrà quando saremo in pensione. In pratica, immaginare il futuro significa ragionare come se ci fosse un tempo del tutto nuovo da inaugurare, e non un presente da trascinare in avanti. La tabella evidenzia alcuni possibili cambiamenti dal tempo del lavoro a quello della pensione.

Il tempo che passeremo in pensione, peraltro, è molto. La prossima tabella mostra le età effettive di inizio pensione in Italia nel 2024 e il numero di anni medio che chi è andato in pensione in quell’anno passerà in “pensione”.

La pensione, come è naturale, è un insieme di bisogni, progetti e desideri che richiedono soldi. Questi deriveranno dalle pensioni pubbliche, dai fondi pensioni, da investimenti o assicurazioni vita, da eventuali immobili da locare o da altre somme utili.
È consigliabile iniziare a stimare, in lordo e in netto, quanto ogni voce potrà darci in termini di reddito mensile utile a spendere quel che ci serve e quello che vogliamo. Non dobbiamo, oggi, preoccuparci della precisione. Il tema, come anticipato, non è fare una previsione esatta ma iniziare a organizzare il futuro.
Saltare sulla macchina del tempo
La ricognizione su quanto abbiamo già “messo via” per il futuro può aiutarci a capire se il nostro obiettivo è distante o vicino. La cosa più semplice è simulare se con le entrate che stimiamo riusciremo a fare la vita che desideriamo o se vanno incrementate. In questo caso la regola d’oro è distinguere sicurezza e rendimenti. La parte di spese future incomprimibili, quella composta da alimentazione, casa, utenze, trasporti e spese mediche di base non deve mai essere messa in crisi, e verrà coperta da redditi mensili vitalizi, quelli, per capirci, che derivano dalle pensioni pubbliche e i fondi pensione.
La parte di spese che invece è discontinua e non così essenziale (cambiare la cucina, o viaggiare per il mondo) può essere coperta dal prelievo sui propri investimenti, o da eventuali case che affittiamo per trarne integrazione pensionistica. Anche per questa contabilità, non è il caso di diventare esperti: è bene, infatti, confrontarsi con consulenti che professionalmente aiutano persone e famiglie a organizzare il proprio tempo della pensione.
“Distinguere sicurezza e rendimenti è la regola d’oro per capire come vivere la pensione che Si desidera”
Conclusioni
La pensione si svolge nel futuro, ed il futuro talora è imprevedibile ma di sicuro si costruisce nel presente. Molti di noi fanno lavori che da ragazzi non erano pensabili ma con immaginazione e determinazione gli obiettivi di ieri sono diventati risultati di oggi. Così è per la famiglia, per la casa, e per la pensione: imprevedibili da conoscere in anticipo, ma possibili solo grazie a decisioni, risparmi, talora sacrifici. Vivremo in pensione qualche decina di anni. Vale la pena di ragionarci qualche decina di minuti.