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Alloggi per universitari, situazione e prezzi

Alloggi per universitari, situazione e prezzi

Lo ha scritto Raffaele Lungarella su lavoce.info sottolineando che gli ostacoli che incontrano sono la manifestazione del più generale problema dello squilibrio tra la domanda e l’offerta di abitazioni in affitto e che una sistemazione abitativa meno onerosa per gli studenti fuori sede necessita sia di azioni specificamente indirizzate a loro sia di interventi di portata più ampia, che migliorino le possibilità di accesso al mercato della locazione per tutti coloro che non possono pagare i canoni del libero mercato.

Al 1° novembre 2022, i posti alloggio offerti dagli enti per il diritto allo studio erano 40.069, il 90% dei quali occupati da studenti con una borsa di studio; ma, alla stessa data, erano 95 mila gli studenti in possesso dei requisiti per concorrere all’assegnazione di un posto alloggio gestito da quegli enti.

Il Pnrr, con un finanziamenti di 960 milioni di euro, dovrebbe aumentarne il numero di circa 60 mila entro il 2026, anche con interventi da parte di operatori non pubblici, che riceveranno un contributo per la loro realizzazione. La normativa, però, non indica se e in che misura il contributo pubblico inciderà sul canone richiesto agli studenti.

Servono ovviamente anche altre azioni sul versante sia dell’offerta sia della domanda. Sul primo versante, l’iniziativa più rilevante da intraprendere dovrebbe avere come obiettivo l’ampliamento dell’offerta di alloggi affittati a canoni concordati, che sono più bassi di quelli di mercato. Ne beneficerebbero tutti gli inquilini alla ricerca di abitazione a basso canone.

Il principale canale di aiuto agli studenti fuori sede è la detrazione fiscale del 19% su una spesa per l’affitto massima di 2.633 l’anno, con un risparmio di 500 euro, pari al canone di un mese per un posto letto in una grande città. Nel 2021 se ne sono avvalsi 232.724 contribuenti, su un canone medio di 1.646 euro. Ne deriva che il numero di studenti per i quali è stata applicata la detrazione è notevolmente inferiore a quello dei contribuenti che ne hanno beneficiato: poco più di 145 mila, un dato molto più basso di quello degli studenti fuori sede.

Nelle città con una forte capacità di attrazione sia di studenti universitari sia di turisti pesa anche la preferenza di non pochi proprietari per gli affitti di brevissima durata (pochi giorni, quando non uno), che sottraggono una parte dell’offerta di alloggi alla locazione annuale (tipica per gli studenti, in genere) o di più lunga durata.

Comunque, occorre innanzitutto ampliare l’offerta complessiva di abitazioni per l’affitto, considerando però che i giusti propositi sul consumo del suolo non permettono di puntare sulla costruzione di nuove abitazioni.

Occorre, perciò, operare sull’offerta del patrimonio esistente per accrescerne la parte accessibile alle famiglie e ai soggetti meno abbienti. È possibile farlo utilizzando la leva fiscale, limitando l’applicazione della cedolare secca ai canoni concordati, che, essendo più bassi di quelli di mercato, assolvono anche una funzione sociale.

Ma è necessario anche valutare la fattibilità di interventi di edilizia agevolata, incentivati con contributi pubblici, destinati alla locazione temporanea o permanente a canoni contenuti.

Degli effetti di queste eventuali decisioni, i fuori sede beneficeranno anche indirettamente: l’ampliamento dell’area dei canoni meno onerosi, infatti, allenta la domanda sul mercato libero delle locazioni, con conseguente contenimento anche dei relativi canoni.

A proposito di sistemazioni per studenti e lavoratori fuori sede, alla vigilia del nuovo anno accademico, alle porte, l’ultimo rapporto di Immobiliare.it Insights, società del gruppo Immobiliare.it, ha rilevato che lavoratori e universitari quest’anno si troveranno ad affrontare una situazione ancora caratterizzata da rincari dei prezzi, anche se non in tutte le città. Dall’altra parte avranno a disposizione un’offerta del mercato più cospicua, visto l’aumentare diffuso degli alloggi di questa tipologia (+34% per le singole).

Infatti, lo studio evidenzia un aumento dell’offerta molto importante soprattutto nei centri satellite, come Brescia (+75%), Latina (+68%) e Bergamo (+49%), che ora si propongono come alternativa ai poli di maggiore dimensione, grazie anche alla presenza di collegamenti rapidi con la grande città e un’offerta didattica spesso similare.

La domanda, comunque, continua a crescere: la richiesta per le singole è salita del 27% rispetto al 2022.

Milano, dopo aver fatto partire la protesta delle tende poco prima dell’estate, per la prima volta negli ultimi anni, frena sui rincari. Rimanendo comunque la più cara, con un costo medio delle singole di 626 euro al mese, “appena” l’1% in più rispetto all’anno scorso grazie all’aumento dell’offerta (+36%), oltre che della domanda (+15%).

Per quanto riguarda le singole, dunque, Milano resiste sul gradino più alto del podio; mentre  Bologna supera per la prima volta Roma: per potersi permettere una stanza tutta per sé nel capoluogo emiliano bisogna mettere a budget 482 euro, a fronte dei 463 euro nella Capitale.

In quarta posizione c’è Firenze con 435 euro. Quasi appaiate Modena e Bergamo, con 412 euro e 411 euro rispettivamente. Superano, appena, la soglia dei 400 euro anche Padova e Verona (404 euro e 401 euro, rispettivamente). Poco al di sotto di questa cifra, chiudono la top10 nazionale Venezia (396 euro) e Brescia (385 euro).

A Torino il costo medio per una singola è di 373 euro, il 3% in più rispetto all’anno scorso.

Diversa la situazione se si vanno a esaminare i prezzi del posto letto in doppia: se il capoluogo lombardo conserva la prima posizione con 348 euro, al secondo posto si trova invece Roma con 272. Terza posizione è Napoli con 258 euro. Seguono Firenze (255 euro) e Bologna (249 euro). Sesta Padova a 231 euro, seguita da Modena, dove un posto letto costa 226 euro. A Torino la media è di 219 euro (+14%).

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La ritirata degli artigiani

La ritirata degli artigiani

Continua a diminuire il numero degli artigiani in Italia, che dal 2012 ne ha persi quasi 325 mila (-17,4%). Lo ha denunciato la Cgia, precisando che, secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Inps, nel 2022 il nostro Paese contava 1.542.291 artigiani.

“Possiamo quindi affermare – ha scritto la Cgia – che non solo i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore, ma anche chi ha esercitato la professione per tanti anni e non ha ancora raggiunto l’età anagrafica e/o maturato gli anni di contribuzione per beneficiare della pensione, spesso preferisce chiudere la partite Iva e continuare a rimanere nel mercato del lavoro come dipendente che, rispetto ad un artigiano, ha sicuramente meno preoccupazioni e più sicurezze”.

Girando per le nostre città e i paesi di provincia si constata che sono ormai in via di estinzione tantissime attività artigianali. Sono ormai ridotte al lumicino le botteghe che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e tv, sarti, tappezzieri e non solo.

Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle nostre città, diventando dei punti di riferimento che davano una identità ai luoghi in cui operavano.

Per contro, invece, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione sono quelli del benessere e dell’informatica: per esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori, così come i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media.

“Purtroppo, però – commenta la Cgia – l’aumento di queste nuove attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure nell’artigianato storico, con il risultato che la platea degli artigiani è, appunto, in costante diminuzione”.

E con tante saracinesche abbassate, le città sono più insicure. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma, anche, da luoghi dove le persone si incontrano anche per fare solo due chiacchere. Luoghi che conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio.

Insomma, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani, per molti dei quali fare la spesa è diventato un grosso problema non avendo botteghe sotto casa e, spesso, non disponendo dell’auto,

Il forte aumento dell’età media della popolazione, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno spinto molti artigiani a gettare la spugna.

I consumatori, inoltre, hanno cambiato il modo di fare gli acquisti. Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta, preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatte su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on line o preso dallo scaffale di un grande magazzino.

Inoltre, “negli ultimi 40 anni – ha sottolineato la Cgia – c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali. che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese, mentre oggi sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b”.

Per alcuni, infatti, gli istituti professionali rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno i ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio; mentre per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore.

Comunque, nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto a avvicinarsi a questo mondo. In tutto il Paese si fatica a reperire giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri.

Nell’ultimo decennio sono state Vercelli e Teramo le province che, entrambe con il -27,2 per cento, hanno registrato la variazione negativa più elevata d’Italia (-27,2%). Seguono Lucca (-27%), Rovigo (-26,3%) e Massa-Carrara (-25,3%).

In termini assoluti, le province che hanno registrato le maggiori “perdite” di artigiani sono state Bergamo con -8.441, Brescia con -8.735, Verona con – 8.891, Roma con -8.988, Milano con -15.991 e, in particolar modo, Torino con -18.075 artigiani.

Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato il Piemonte con il -21,4%, le Marche con il -21,6 e l’Abruzzo con il -24,3. In valore assoluto, invece, le perdite di più significative hanno interessato l’Emilia-Romagna (-37.172), il Veneto (-37.507), il Piemonte (-38.150) e, soprattutto, la Lombardia (-60.412 unità).

 

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