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Capitolo 9

L’inchiesta continua senza il commissario

Il salone, sì. Era quello il cuore pulsante della banca. Almeno quello di una banca locale. Se c’era una cosa di cui Camillo andava fiero era il fatto che nella Banca Anonima di Credito, per pescecani e avvoltoi non c’era mai stato posto e la gente che normalmente affollava il salone ne era la riprova. Gente semplice, che non cercava avventure e a cui lui non aveva mai proposto avventure. Risparmiatori, come suo padre e suo nonno. […] Ed era per questo che, di tanto in tanto, Camillo si installava nel salone con un pretesto qualsiasi e osservava. E così, si disse, avrebbe fatto anche quel giorno.

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Capitolo 10

Nell’osteria della Mala

Sua madre glielo diceva sempre: sei nato in una notte nera come il carbone, senza stelle, senza luna, così nera che, dopo che ti ha fatto nascere, la levatrice è rimasta lì da noi, perché aveva paura ad andare a casa. Forse era per quello, o forse era perché al mattino non gli andava di alzarsi presto, ma lui per la notte si sentiva davvero tagliato. Sembrava che nel buio ci vedesse meglio dei gatti.

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Capitolo 11

Cos’è accaduto a Koksu?

«E adesso ti parlo come economista. Via Modena il motorista, via Perugia la selleria, corso Tortona la carrozzeria: nel giro di poche centinaia di metri ci sono tre aziende per le quali la tua “roba futile” è lavoro. E poi ci saranno quelli che fanno il motorino d’avviamento, quelli che costruiscono i fanali. Intorno alle “robe futili” c’è una città intera che sta alzando la testa. È tutto lavoro, e non lavoro qualsiasi, lavoro specializzato, tecnica, nuovi brevetti. La bellezza fa girare il mondo.»

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Capitolo 12

La giava rossa: tutta una trama d’amore e morte

Si era atteso un’entrata sontuosa, uno sfavillare di luci e di cristalli, a metà tra il Moulin Rouge e certi teatri di New York così come si vedevano sui rotocalchi illustrati. Invece il tabarin si era offerto a lui con una porticina minuscola sulla quale era avvitata una targa in ottone: La giava rossa. Aveva atteso un po’, per vedere se qualcuno entrava o usciva, poi, alla fine, si era deciso a suonare il campanello. Una volta, due volte, tre volte. Solo dopo la quarta qualcuno era venuto ad aprirgli.

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Capitolo 13

E se Marlene dicesse la verità?

Eh sì, Dante aveva ragione: quel giovinotto era più saggio di lui che, invece, alla soglia dei cinquanta, avrebbe dovuto avere un po’ il senso della misura. Ma era inutile recriminare, lui era fatto così, non sopportava di farsi pestare i piedi, e il commissario Di Giovanni i piedi glieli aveva pestati ben forte, ci era saltato sopra a gambe unite. Camillo avrebbe voluto dirsi che non finiva lì, che una battaglia persa non pregiudica la vittoria finale, ma la situazione si dipinse davanti a lui con tocchi realistici: non aveva tra le mani un complice, non aveva un testimone, aveva soltanto un reduce che vedeva mutilati e cannibali insieme; per dirla tutta era al pian dij babi.

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Capitolo 14

Lo strano caso del compagno segreto

«Il destino non esiste». Camillo se lo ripeté ancora una volta, ma intanto afferrò i due volumi che il destino gli aveva fatto trovare stranamente accostati e li portò con sé sulla poltrona.[…] E dottor Jekyll e Mr. Hyde: due persone o una persona sola? Nei giorni successivi, Camillo si sarebbe chiesto più volte se quell'idea che all'improvviso gli balenò nella mente fosse stata una lucida intuizione o una specie di incubo e mai sarebbe giunto a darsi una risposta.

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Capitolo 15

A Paris…

L’annuncio di una telefonata dall'Italia gli aveva messo addosso un bello spavento. Le chiamate internazionali, così complicate da effettuare per via di tutti quei passaggi attraverso i centralini, erano solitamente riservate alla comunicazione di eventi nefasti: lutti, crolli di case, matrimoni repentini di fidanzate salutate qualche settimana prima con giuramenti di amore eterno. E poi alla Banque des Intérêts Français non erano usi passare la linea ai dipendenti per ragioni personali.

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Capitolo 16

Sulle tracce di Bauducco

Stiamo cercando un nostro compatriota, il signor Italo Bauducco.» «Non abita più qui.» «Però ci ha abitato» la incalzò Carlo. «Sì, ma adesso non ci abita più.» Vittorio provò a usare maggiore diplomazia: «Io rappresento una banca di Torino, in Italia. Avrei solo bisogno di qualche informazione sul signor Bauducco.» La custode lo squadrò con aria severa, poi passò ad analizzare il suo amico. In capo a qualche secondo, nei suoi occhi si poté leggere una sconfinata diffidenza: ci voleva una bella sfrontatezza per presentarsi come funzionari di banca! Ma per chi l’avevano presa? Non era mica nata ieri? Se la buonanima di suo marito fosse stata lì, glielo avrebbe fatto vedere lui a quei due giovinastri come si finiva a prendersi gioco della gente. Vittorio tornò alla carica: «Da quanto tempo se n’è andato?» «Fine giugno.»

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Capitolo 17

L’osteria della Mala c’è anche a Parigi

«Dalle domande che faceva, – replicò la donna – avrei detto che era giornalista pure lui. O magari anche peggio…» Carlo sorrise, amaramente: cosa c’era di peggio che giornalista? Forse artista. Forse scrittore. A Torino, artista era sinonimo di scansafatiche, di illuso, questo lo si sapeva, ma che anche Parigi trattasse così i giovani bruciati dal sacro fuoco dell’arte, be’ quello non gli andava giù. Di quelle parole però, Vittorio si diede un’altra interpretazione: giornalisti no, poliziotti no, ché altrimenti l’atteggiamento sarebbe stato diverso, per cosa li avevano dunque scambiati? Per quale motivo poteva essere “anche peggio”? Decise di approfondire, con tatto: «Forse vi dobbiamo qualche spiegazione. Avete qualche minuto per ascoltarci?» «Certo, siamo tra amici, no?» rispose l’oste. E andò a tirare la tenda che oscurava la porta d’ingresso: più che mai, gli sconosciuti erano pregati di stare fuori.

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